Minacce alla magistrata, dopo l’arresto il boss prende le distanze: «Non c’entro con quei fatti»

Minacce alla magistrata, dopo l’arresto il boss prende le distanze: «Non c’entro con quei fatti»
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Sabato 3 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 6 Febbraio, 14:03

Si è detto sin dal principio che la provenienza, in senso largo, delle minacce era da individuare in un ambito particolare. Quello in cui hanno operato le due magistrate, da sempre in primissima linea nelle inchieste e nei processi contro la criminalità organizzata. Il clan Lamendola - Cantanna e i suoi molti affiliati: il gruppo della Scu brindisina su cui la scorsa estate si era abbattuta la scure repressiva degli arresti. Un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 22 persone: alcuni fra i personaggi di vertice sono stati irreperibili per un certo periodo di tempo. Dopo la cattura, il presunto boss Gianluca Lamendola - il 34enne brindisino arrestato proprio a novembre dopo 4 mesi di latitanza a Correggio in provincia di Reggio Emilia - aveva preso le distanze dalle intimidazioni. Lo aveva fatto nel corso dell’interrogatorio di garanzia, fissato per rogatoria. Si era avvalso della facoltà di non rispondere, ma aveva voluto unicamente precisare di non avere nulla a che fare con quanto si era verificato nei mesi precedenti nei confronti delle due magistrate. Del resto, mai in precedenza si era verificato qualcosa di simile che, lo si ripete spesso nelle relazioni degli addetti ai lavori, non fa parte della grammatica della nuova Scu. Sebbene il racconto che si è fatto del gruppo in questione, abbia portato alla luce la tendenza a compiere azioni violente. 

Operazione Wolf


Tornando al fascicolo del pm della Dda Carmen Ruggiero e all’ordinanza del gip Maria Francesca Mariano eseguita dai carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni, l’udienza preliminare è fissata per il prossimo 6 marzo dinanzi al gup Sergio Mario Tosi, ma il fascicolo sarà riassegnato per il trasferimento del giudice. 
L’operazione si chiama Wolf, il processo è stato invocato dal pm per 38 imputati.

Sono contestate a vario titolo ipotesi di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentati omicidi, detenzione e porto illegale di armi da fuoco e da guerra, violenza privata, lesioni personali, estorsioni, ricettazione, danneggiamento seguito da incendio e autoriciclaggio, tutti aggravati dal metodo mafioso e violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. A Gianluca Lamendola ed al padre Cosimo, indicati rispettivamente capo e organizzatore del clan, erano sfuggiti al blitz di luglio e furono rintracciati il primo dopo quattro mesi in un condominio di Correggio (in provincia di Reggio Emilia), ospite di una famiglia; ed il secondo dopo due mesi e mezzo in un trullo finemente ristrutturato ed arredato delle campagne fra Ostuni e Cisternino.

Le intimidazioni


Le carte dell’inchiesta parlano infatti di una messa in campo di una forte carica di intimidazione attraverso estorsioni ai commercianti, sequestri delle persone che avrebbero contratto debiti con l’acquisto di dosi di droga, pestaggi sistematici, tentati omicidi ed altro ancora. Richiamano la Scu prima maniera anche i rituali di affiliazione ed anche le punizioni violente e dolorose come quelle inflitte alle persone considerate infedeli o ai rivali: il taglio della spalla. Ed ancora: il pagamento del “punto” imposto agli spacciatori, ossia una percentuale sugli introiti della vendita delle dosi di droga. Le zone in cui questo clan avrebbe impresso il suo marchio sarebbero state Brindisi, San Vito, Latiano, Fasano, San Pancrazio Salentino e San Michele Salentino.

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