«Fondi per la svolta del siderurgico, ma la partita sul territorio è aperta»: parla il professor Pirro

«Fondi per la svolta del siderurgico, ma la partita sul territorio è aperta»: parla il professor Pirro
di Nicola QUARANTA
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Domenica 17 Gennaio 2021, 08:24

Professore Federico Pirro, in settimana è arrivata la conferma che in molti, Confindustria e sindacati in testa, temevano: Brindisi esclusa dal Just Transition Fund. Perché a suo giudizio il governo ha privilegiato le aree di Taranto e del Sulcis, ignorando il percorso di decarbonizzazione della Centrale Enel che il capoluogo brindisino nei prossimi anni è chiamato ad affrontare?

«Non si dimentichi mai che il Siderurgico ionico è non solo la più grande acciaieria a ciclo integrale d’Europa, ma anche la maggiore fabbrica manifatturiera d’Italia con i suoi 8.200 addetti diretti; pertanto è comprensibile l’attenzione del Governo. Poi la riconversione a gas della Centrale Federico II sarà finanziata dall’Enel che però sollecita con forza ormai da tempo l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie, perché ha già cominciato a spegnere il secondo gruppo da 660 MW di quel sito ed entro il 2025 dovrebbe spegnere l’intero ciclo fondato sul carbone».

Battaglia persa? E Le scelte del governo nella gestione dei fondi Ue rischiano a suo parere di mettere a rischio il processo di conversione verso un’industria green in un territorio che ospita oltre alla centrale anche il petrolchimico?

«Intanto precisiamo che al momento il Piano per il Recovery Fund è quello approvato dal Governo che deve ancora andare in Parlamento e al confronto con le parti sociali che hanno già espresso riserve non solo su alcuni contenuti ma anche sull’impostazione di fondo che sarebbe priva, a detta di molti, di una grande vision per lo sviluppo del Paese. Pertanto potrebbe (e dovrebbe anche per me) essere modificato. Non credo comunque che Brindisi resterà tagliata fuori dall’impiego delle risorse per la transizione ecologica che, è bene saperlo, non sarà breve. Il Petrolchimico - che è il più moderno e competitivo di quelli della Versalis - proprio per questo è interessato da continui investimenti per efficientarne i processi produttivi e ridurne sempre di più le emissioni nocive».

La produzione di energia da idrogeno a Brindisi è una strada percorribile? E con quali prospettive occupazionali e di tenuta di un indotto che guarda al percorso di conversione con preoccupazione, in mancanza di un quadro alternativo certo?

«La produzione di energia da idrogeno sarà possibile, ma sono necessari tempi tecnici per riuscire a produrne quantità possibilmente green a costi competitivi, altrimenti si rimane solo agli slogan. Certo, si sta lavorando alacremente per mettere a punto processi e tecnologie di produzione di idrogeno verde a costi compatibili con un suo impiego massiccio come combustibile del prossimo avvenire. Ma, al momento, non siamo ancora giunti ad un obiettivo che, tuttavia, non sembra remoto nel tempo. Per l’indotto del comparto energetico e i suoi attuali livelli occupazionali, il timore di aziende e sindacati è pienamente condivisibile e, a mio avviso, andrebbe istituita, anche per iniziativa della Regione, un Struttura tecnica di missione che, con imprese e organizzazioni sindacali lavori a individuare progetti di diversificazione di prestazioni, prodotti, mercati, tecnologie.

Scusandomi per l’autocitazione, sin dall’ottobre del 2017 in uno studio presentato ufficialmente dalla Confindustria locale individuavo settori e produzioni per una possibile diversificazione di manifatturiero ed impiantistica. Erano proposte, è ovvio, ma se ne potrebbe discutere operativamente su tavoli tecnici competenti? Ma proposte di dettaglio di altri stakeholder dove sono? Perché poi non far scendere in campo anche il Cetma e l’Enea alla Cittadella della ricerca? Sarebbero partner autorevoli per ogni concreto progetto di diversificazione».

Nel Recovery plan ci sarebbero, invece, 60 milioni per lo sviluppo del porto. Il braccio di ferro tra Comune e Autorità di Sistema rischia di compromettere gli investimenti?

«Non v’è dubbio che con il passare dei mesi vi sia il rischio concreto di perdere gli investimenti nelle opere portuali e quello dell’Edison. Ha ragione allora il presidente della Commissione bilancio della Regione Fabiano Amati nel dire con una franchezza che rasenta la brutalità che nascondono solo volontà dilatorie i comportamenti di una sparuta minoranza e del Comune che, a parole, non si dicono contrari a certe opere e a specifici investimenti,ma che in realtà puntano a fermarli. Se tali comportamenti prevalessero - e qualche domanda al riguardo se la dovrebbe porre soprattutto il PD che è in giunta al Comune - Brindisi perderà quegli investimenti. Ma se prevarrà questa che è la reale volontà degli ambientalisti, l’economia della città ne trarrà giovamento? Giudichino tutti gli stakeholder».

Guardando sempre lo sviluppo via mare: c’è chi vorrebbe che Brindisi tornasse a una gestione autonoma del porto, altri che spingono per virare sull’asse con Taranto piuttosto che con Bari. Quali la via giusta?

«Non scherziamo pensando ad una gestione autonoma dello scalo. I porti ormai da anni si vanno integrando in veri ‘sistemi’ che competono a livello internazionale e pertanto non avrebbe alcuna prospettiva uno scalo di Brindisi autonomo. E poi qualcuno ha forse da eccepire sul costante impegno profuso dal Presidente Patroni Griffi in favore dello scalo cittadino ? Circa poi un possibile inserimento nell’Autorità portuale di Taranto, ricordo che quando alla fine del 2015 si discusse di una o due Authority in Puglia, l’allora Ministro Delrio era a favore di un’unica Autorità. Prevalse però su richiesta di Bari la necessità di costituirne due che, tuttavia, non sono e non possono essere concorrenti, ma devono lavorare in sinergia anche nelle due Zone economiche speciali che fanno capo agli scali di Bari e Taranto». 

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