Dal ‘700 ai giorni nostri: se il terremoto vien dal mare fa tremare l’intero Salento

Dal ‘700 ai giorni nostri: se il terremoto vien dal mare fa tremare l’intero Salento
di Nicola QUARANTA
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Domenica 25 Marzo 2018, 14:40 - Ultimo aggiornamento: 17:10

Evento raro, a maggior ragione imprevedibile ma non per questo scongiurabile. La scossa di magnitudo 3.9, registrata nella notte tra venerdì e sabato, alle 00.32, nella costa adriatica brindisina, tra Ostuni e Carovigno, con epicentro nel mare ad una profondità di 28 chilometri, per quanto eccezionale non deve stupire, sottolineano gli esperti.
Il terremoto, registrato dalla Sala sismica di Roma dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, e avvertito in gran parte della Puglia, in particolare a Brindisi, Taranto, Bari e Lecce, non ha provocato alcun danno significativo, tranne in alcuni casi il crollo di cornicioni. Nulla, dunque, che possa minimamente riportare alla mente, sfogliando le pagine di storia, quanto accadde il 20 febbraio del 1743: data rimasta impressa nella memoria dell’intero Salento. Le cronache dell’epoca riportano un violento sisma con epicentro nel Canale d’Otranto, a soli 50 chilometri dalla costa salentina.
Il movimento tellurico fu avvertito nell’intera Italia meridionale e nel Mediterraneo (Grecia, malta, Albania), ma le maggiori distruzioni si ebbero nel Salento, in particolare a Francavilla Fontana e a Nardò, dove per alcune fonti ci furono 150 morti (altre ne riportano persino il doppio). A distanza di oltre due secoli, ma con una scossa ben più leggera, l’intero Salento è tornato l’altro ieri notte a tremare. Il sisma è stato avvertito anche in Basilicata, a Matera.
Numerose le telefonate giunte ai centralini dei vigili del fuoco e delle forze dell’ordine. Molta gente è scesa in strada per lo spavento. Ma per fortuna, niente danni a cose o persone. Evento sismico senza conseguenze, dunque, e con una “intensità” che non sposta di una virgola il basso livello di rischio del territorio sancito nel 2004, allorquando fu predisposta per la prima volta la mappa della pericolosità sismica che fornisce un quadro delle aree più pericolose in Italia. Per ridurre gli effetti del terremoto, l’azione dello Stato si è concentrata sulla classificazione del territorio, in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato, e sull’applicazione di speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. La legislazione antisismica italiana, allineata alle più moderne normative a livello internazionale prescrive norme tecniche in base alle quali un edificio debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane.

 
Sino al 2003 il territorio nazionale era classificato in tre categorie sismiche a diversa severità. I Decreti Ministeriali emanati dal Ministero dei Lavori Pubblici tra il 1981 ed il 1984 avevano classificato complessivamente 2.965 comuni italiani su di un totale di 8.102, che corrispondono al 45% della superficie del territorio nazionale, nel quale risiede il 40% della popolazione. Nel 2003 la svolta: furono emanati i criteri di nuova classificazione sismica del territorio nazionale, basati sugli studi e le elaborazioni più recenti relative alla pericolosità sismica del territorio, ossia sull’analisi della probabilità che il territorio venga interessato in un certo intervallo di tempo (generalmente 50 anni) da un evento che superi una determinata soglia di intensità o magnitudo. E l’assunto per cui alcuna regione può considerarsi del tutto indenne.
«Per pericolosità sismica - spiega l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Ingv - si intende lo scuotimento del suolo atteso in un sito a causa di un terremoto. Essendo prevalentemente un’analisi di tipo probabilistico, si può definire un certo scuotimento solo associato alla probabilità di accadimento nel prossimo futuro. Non si tratta pertanto di previsione deterministica dei terremoti, obiettivo lungi dal poter essere raggiunto ancora in tutto il mondo, né del massimo terremoto possibile in un’area, in quanto il terremoto massimo ha comunque probabilità di verificarsi molto basse».
Sta di fatto che dal 2004 non esiste più il territorio “non classificato”, bensì zone (4), di cui fa parte anche la Puglia, nelle quali è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica. A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima sulla roccia.
Passata la paura e aggiornata la statistica, il sisma a due passi dalla costa brindisina resta al vaglio degli esperti della materia, per il perseguimento dell’attività di osservazione.

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