Luisa e Lolita, il fattore rosa della svolta: così è cambiata Bari

Luisa e Lolita, il fattore rosa della svolta: così è cambiata Bari
di Vincenzo Maruccio
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Lunedì 30 Ottobre 2023, 19:29 - Ultimo aggiornamento: 31 Ottobre, 13:00

Nella consegna delle chiavi della città di Bari a Luisa Ranieri c’è molto più dello sguardo luminoso e dell’ironia che hanno fatto il successo di Lolita Lobosco. C’è molto più delle panoramiche con i droni tra lungomare e centro storico che hanno conquistato gli italiani. La cerimonia al teatro Piccini segna uno spartiacque: un prima e un dopo, la Bari che era e ciò ha cominciato ad essere. Un cambio di orizzonte più che un’inversione di rotta: l’anatroccolo – bello, però, perché Bari tale è sempre stata – che si è fatto cigno.

Il cinema e la fiction in città 


Il cinema e le fiction raccontano spesso una svolta, un bivio, il cambiamento di una città. L’istantanea di un immaginario collettivo che, tra passato e futuro prossimo, ruota attorno alla vita di una comunità. A Lecce è accaduto alcuni anni fa con il film “Mine vaganti” di Ferzan Ozpetek: il barocco sotto una nuova veste che in controluce annunciava il Salento style tra masserie e movida. A voler toccare il vertici della cinematografia, come Federico Fellini aveva fatto a Roma con “La Dolce Vita”: film-metafora della trasformazione di un intero Paese.
Le indagini della Lobosco, oltre a scoprire l’assassino di turno, si inseriscono in questo solco: raccontano a puntate un modo di essere e offrono lo spaccato di una città superando clichè e stereotipi che troppo a lungo ne hanno impedito il volo.

Certo, le contraddizioni restano e la poliziotta non fa nulla per nascondere le zone d’ombra dove non è tutto oro quel che luccica. Dalla criminalità alle disuguaglianze sociali.


D’altra parte, la stessa Bari pre-Lolita non era la città brutta, sporca e cattiva descritta attraverso stereotipi. Certo, i teatri erano chiusi, Bari Vecchia insicura, Punta Perotti un clamoroso caso di cementificazione e l’ex Fibronit una “fabbrica di morte”, ma si trattava pur sempre della locomotiva di Puglia con la Fiera del Levante, con Laterza crocevia di intellettuali e con una vivacità industriale da far invidia al Nord-Est. Spinte e controspinte che convivevano, il Murattiano alto-borghese e le periferie in mano ai clan, il male capace spesso di lusingare il bene.

Piva, solo 25 anni fa


Quasi 25 anni fa il film “La Capagira” di Alessandro Piva, intriso di personaggi borderline tra marginalità e riscatto, era stato il primo tentativo di raccontare la città in transizione. Più tardi “Il passato è una terra straniera” di Daniele Vicari il tentativo riuscito di incrociare il lato oscuro con il perbenismo fragile in un affresco notturno dove alla fine trionfano denaro e convenzioni: trasposizione cinematografica del libro forse più bello di Gianrico Carofiglio che, insieme al dittico “Riportando tutto a casa” e “La ferocia” di Nicola Lagioia, ci restituiva le verità di una generazione che avrebbe potuto fare di più. In un città che cominciava a cambiare, ma restava prigioniera: più delle proprie paure che di un passato criminale.
Lolita, nata dai romanzi di Gabriella Genisi, completa questa transizione: vivace e multicolorata Bari lo era sempre stata, ma ora si arricchisce di punti di vista, “ponte” multiculturale, a tratti cosmopolita. L’effetto è palpabile: tutti vogliono venire a Bari, tutti vogliono visitare piazza Odegitria e i luoghi della fiction. Tutti vogliono fare il bagno a Pane e Pomodoro. Più che una Bari cambiata è una Bari liberata. Da gioghi e catene che ne bloccavano le potenzialità: è questa la vera, grande novità. E Ranieri, sempre più ispirata dopo il tocco magico di Paolo Sorrentino nella “Mano di Dio”, fa agisce da detonatore facendoci vedere la città con occhi nuovi.


Due fattori fanno la differenza. Il primo è il senso del popolare che l’attrice napoletana incarna al meglio e che è cosa diversa dal popolaresco macchiettistico. Lolita non abiura le tradizioni, mangia focaccia e orecchiette, fa la spesa dal fruttivendolo, si rifugia in campagna dalla mamma quando deve ritrovare se stessa e non si tira indietro se bisogna fare i conti con il passato di un papà contrabbandiere. Lolita emblema di una città popolare che attraversa le classi sociali senza mai chiudersi nel recinto radical chic in voga in altre aree della Puglia. Con un pantheon immaginario che non lascia dubbi: Toti& Tata sempre graffianti, più Checco Zalone che Lino Banfi (che, infatti, non era barese), il pensiero meridiano scevro da retoriche meridionaliste.
Non poteva essere che una donna a rappresentare questa svolta e siamo al secondo fattore-chiave. Lolita “libera” Bari dalle paure perché è più moderna degli uomini: gran lavoratrice ma senza perdere di vista gli affetti, autonoma senza fare a meno degli altri, moralmente inattaccabile senza trascurare l’aspetto umano, sentimentalmente incompiuta senza vergogna di dirlo alla migliore amica. Come oggi certi uomini non sarebbero capaci di fare. La donna che tutti vorrebbero come compagna, amica, sorella.
Lolita parla, sta in silenzio, agisce e quando a inizio puntata il drone vola sui tetti è come se la città si guardasse un po’ allo specchio: Bari non è più un maschio e, a sorpresa, si scopre donna. Lolita che Antonio Decaro e gli altri – a corto di certezze – potrebbero indicare come candidato sindaco. O, forse no, anche come candidato bipartisan. Metterebbe d’accordo tutti.

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