Il caso Ilva e i "magnifici trentasette" in 12 anni

Dalla bufera post inchiesta e sequestro del 2012 ad oggi in 37 tra premier, ministri titolari del dossier e sottosegretari alla Presidenza del Consiglio si sono occupati del siderurgico di Taranto. Sempre con la stessa surreale e frenetica danza dell’immobilismo e dell’impotenza

Il caso Ilva e i "magnifici trentasette" in 12 anni
di Francesco G. GIOFFREDI
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Mercoledì 10 Gennaio 2024, 13:20 - Ultimo aggiornamento: 11 Gennaio, 12:51

Trentasette. In principio fu il governo dei professori, nel pieno della bufera post inchiesta e post sequestro dell'Ilva di Taranto: Mario Monti e i ministri Corrado Passera, Corrado Clini, Elsa Fornero. Poi vennero il voto della prima ubriacatura populista e la contromossa del governo di larghe intese: Enrico Letta e i ministri Fabrizio Saccomanni, Flavio Zanonato, Andrea Orlando, Enrico Giovannini. Stesse maggioranze, grosso modo, e nuovi premier: Matteo Renzi e Paolo Gentiloni e – tra ministri e sottosegretari – Claudio De Vincenti, Federica Guidi, Carlo Calenda, Gian Luca Galletti, Giuliano Poletti, Pier Carlo Padoan. Altro valzer elettorale, altra robustissima iniezione di populismo a varia intensità, proclami sul siderurgico da chiudere, abbattere, smontare, e il governo gialloverde di Giuseppe Conte, del plenipotenziario Luigi Di Maio e poi di Giovanni Tria, Sergio Costa e Barbara Lezzi. Piroetta, sempre Conte a Palazzo Chigi, ed ecco sbucare dalla mischia il governo giallorosso: il dossier Ilva nelle mani di Mario Turco, Roberto Gualtieri, Giuseppe Provenzano, Stefano Patuanelli, Nunzia Catalfo, Sergio Costa. Quasi tre anni fa, il ritorno (è ciclico, in Italia) dei tecnici, dei professori, di un certo understatement: Mario Draghi affiancato nelle tempeste Ilva da Daniele Franco, Roberto Garofoli, Giancarlo Giorgetti, Roberto Cingolani, Andrea Orlando, Mara Carfagna. Ora, l’immagine plastica del governo di Giorgia Meloni schierato a testuggine davanti ai Mittal, nel giorno dello strappo rumoroso: Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso, Raffaele Fitto e Marina Calderone.


Dite la verità: impossibile ricordarli tutti. Tra premier, ministri titolari del fascicolo e sottosegretari alla Presidenza del Consiglio, una sfilza di 37 rappresentanti di governo in 12 anni, variamente impegnati ad arrovellarsi attorno al polo siderurgico e a Taranto, in una sorta di surreale e frenetica danza dell’immobilismo e dell’impotenza, con rare e occasionali eccezioni.

I “magnifici trentasette”, alcuni dal curriculum di rango e competenze, altri parvenu, più o meno noti, dimenticati o dimenticabili.

Tutti o quasi tutti, comunque, aggrappati allo stanco, rimasticato e quasi sempre infruttuoso cerimoniale di tavoli, incontri, decreti, speranze, promesse imprudenti, tuonanti dichiarazioni di guerra presto ridimensionate, barricate e retromarce, balletti sullo scudo penale, ultimi anelli di una catena lunga decenni e larga intere Repubbliche (Prima, Seconda e Terza), fatta di omissioni, fughe dalle responsabilità, non-decisioni, distrazioni, senza incalzare per davvero Mittal su Piano ambientale e industriale evitando di consegnare alibi alla multinazionale. Il finale era scritto da tempo. Trentasette che possono quasi sembrare un tutt’uno, e chissà la conta quando si fermerà. Al fondo resta quel senso di inadeguatezza, fallimento e bancarotta politica e istituzionale che s’attacca alla pelle e non va via, più della polvere rossa dei Tamburi e (quasi) più dell’inesorabile, allarmante e sottovalutato declino della grande siderurgia italiana.

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