Il caso Puglia e la Regione: oltre il gioco delle figurine l'immobilismo della politica

Michele Emiliano in Consiglio regionale
Michele Emiliano in Consiglio regionale
di Francesco G. GIOFFREDI
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Martedì 23 Aprile 2024, 13:18 - Ultimo aggiornamento: 13:20

Piccoli passi per provare a correggere la rotta? Oppure immobilismo che sa di rinvii, vicolo cieco, tentativi di sopravvivenza e soluzioni solo “scenografiche”? Michele Emiliano, dopo il vortice di scandali politico-giudiziari e il pressing di Elly Schlein e Giuseppe Conte, scopre parzialmente le carte, ma sul tavolo almeno per ora non cala né un poker né una scala reale. Tradotto: nessun azzeramento e rivoluzione della giunta in Regione, cioè l'atteso e dirompente segnale di discontinuità politica invocato a pieni polmoni dai leader nazionali di Pd e M5s. Il jolly giocato ieri dal governatore dopo un weekend di consultazioni dei gruppi di centrosinistra è solo uno: un piano triennale di rotazione del personale, in prima battuta – si legge – dei “dirigenti delle sezioni ad alto rischio di corruzione”. Per la sostanza politica, invece, prego ripassare. Probabilmente tra qualche giorno, ma nel caos meglio sempre rimanere prudenti.
In Regione si palleggia sulla difensiva, giocando con i diabolici e precari incastri di maggioranza. Sperando che intanto – e sta già accadendo – si posi la polvere sollevata dalla bufera del caso Puglia e si abbassino i riflettori puntati nelle scorse settimane dai vertici nazionali di Pd e M5s. Intanto, sembra essersi già ridimensionato o del tutto placato il furore che animava Schlein e Conte nel pretendere il colpo di spugna in Regione su trasformismi e ambiguità di varia natura. Proprio sabato, ospite a “La Repubblica delle idee” e interpellata sul punto, la segretaria ha ribadito che in Puglia «non vogliamo più vedere trasformismi e transfughi», senza aggiungere null'altro sul “cosa” e sul “come”. Lo stesso Conte, sbarcato a Bari per far saltare le primarie cittadine di centrosinistra e pronto a minacciare chissà quale strappo eclatante pur di massimizzare visibilità e consensi, non lancia più ultimatum né chiede pubblicamente conto del “protocollo per la legalità” (ve lo ricordate?) consegnato a Emiliano. «Non sono andato in Puglia a salvare il governatore, ho dato schiaffi oggettivi», ha sostenuto domenica l'ex premier pentastellato. Ma tra i corridoi della Regione già si pronosticano ritorni, presto o tardi, dei cinque stelle nella giunta regionale. Come da copione.
Insomma: nel dibattito politico, sempre più volatile e volubile, il caso Bari-Puglia sembra non interessare più nessuno o quasi nessuno fuori dai confini regionali, almeno fino al prossimo, eventuale scandalo. Ieri è stato oltretutto il giorno delle elezioni in Basilicata: ha vinto il centrodestra dell'uscente Vito Bardi sul centrosinistra in assetto Pd-M5s, che s'era compattato alla meglio su un candidato dell'ultima ora (Piero Marrese). Il campo largo è uno schema che funziona a corrente alternata e in base a troppe variabili, e che è in crisi d'identità e risultati. E allora forse gettare nuova benzina sul fuoco pugliese – è il ragionamento – può solo complicare le cose: va bene cavalcare la “questione morale” pugliese, sì, ma non troppo. Ora, lo smarrimento e i dubbi di Schlein e Conte (peraltro alle prese con le Europee) e l'affievolirsi dei fari nazionali sulla Puglia possono aiutare Emiliano a cavarsela a buon mercato. Lo schema prevede al momento il passo indietro degli assessori, un supplemento di consultazione dei gruppi di maggioranza, l'indicazione da parte di questi ultimi di rose ristrette di consiglieri da reclutare in giunta, e infine le scelte del governatore (che pescherà da “alti profili” anche i due assessori esterni). Il tutto mettendo il lucchetto a una maggioranza consiliare improvvisamente alle prese con numeri precari.
 
Obiettivo, in due parole: tirare a campare, e tra un anno si vedrà. Probabilmente Emiliano terrà botta e reggerà l'urto, le Comunali di Bari e Lecce potrebbero pure contribuire a lenire le ferite. Il punto è però un altro, già segnalato: trattare con metodi ordinari un frangente eccezionale ed epocale, nel quale tutto viene giù. Vero: il governatore ha le mani legate, perché non può attingere più di tanto all'esterno per nominare assessori (massimo due) e perché deve dare conto ai gruppi consiliari, che gli garantiscono spazi di manovra in aula. Ma oltre il rimpasto di giunta e il gioco delle figurine c'è di più. Primo punto: occorre la volontà reale ed esplicita di tagliare di netto i ponti con settori della «coalizione che governa la Puglia» troppo opachi e ondivaghi. Secondo: ci vuole un progetto di fine mandato, con idee, obiettivi e progetti ben definiti e concreti su fronti nevralgici. Terzo: vanno rafforzate le soluzioni strutturali all'insegna della trasparenza, e il piano di rotazione del personale è solo un timido inizio. Quarto: dev’essere iniettata linfa diversa e più genuina nel progetto politico del centrosinistra pugliese, slabbrato e privato di identità dalle alleanze troppo allegre e dalla corsa al consenso facile di Emiliano, cercando possibilmente di costruire nuovi protagonisti e leadership del futuro. La discontinuità si manifesta così, e solo in questo modo si ricostruisce il patrimonio di credibilità. È questione di coraggio, che forse a molti - compresi i leader nazionali - oggi nel centrosinistra manca, al punto che tutti adesso dopo il marasma si potrebbero accontentare di vivacchiare, tra soluzioni al ribasso e calcoli.

La Puglia battezzò 20 anni fa la “Primavera” dei progressisti, ha celebrato per prima il matrimonio tra Pd e M5s, ha decretato sempre per prima la frattura del campo largo e oggi è il teatro delle paure che tormentano il centrosinistra. Con passi per farsi largo tra le macerie talmente piccoli che sanno di immobilismo.

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