Ex Ilva, crisi infinita: cosa può succedere dopo la rottura di ieri

Mittal, azionista di maggioranza col 62%, si è tirato indietro di fronte alla proposta del Governo, che ha chiesto al privato di partecipare alla sottoscrizione del capitale per 320 milioni

Ex Ilva, crisi infinita: cosa può succedere dopo la rottura di ieri
Ex Ilva, crisi infinita: cosa può succedere dopo la rottura di ieri
di Domenico PALMIOTTI
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Martedì 9 Gennaio 2024, 07:22 - Ultimo aggiornamento: 11:27

La schiarita non c'è stata. Le porte che sembrava si fossero un po' aperte dopo il confronto di qualche giorno fa tra Mittal e Invitalia, impegnando, rispettivamente, un dirigente di vertice della multinazionale e l'amministratore delegato, si sono chiuse. Nessun accordo e nessuna tregua. Fra Mittal e Governo è rottura. Privato contro pubblico.
Ieri lo strappo, espresso nel faccia a faccia tra il ceo Aditya Mittal, quattro ministri (Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso, Raffaele Fitto e Marina Calderone) e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, presente anche Bernardo Mattarella, ad di Invitalia, partner di minoranza (38%) della società.

Mittal, azionista di maggioranza col 62%, si è tirato indietro di fronte alla proposta del Governo, che ha chiesto al privato di partecipare alla sottoscrizione del capitale per 320 milioni. La nota di Palazzo Chigi dice che i 320 milioni servivano a "concorrere ad aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia, unitamente a quanto necessario per garantire la continuità produttiva. Il Governo ha preso atto della indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza, e ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti attraverso il proprio team legale". Il governo, intanto, ha convocato i sindacati metalmeccanici a palazzo Chigi per giovedì 11 gennaio alle 19 sulla situazione dell'ex Ilva.

Gli scenari

Due cose emergono chiaramente dalla breve nota della presidenza del Consiglio: che il tavolo è saltato e che Governo e Invitalia si preparano anche allo scontro giudiziario e al contenzioso internazionale con Mittal.

Ma il Governo, ora che Mittal si è chiamato fuori, interverrà da solo? No, non sembra possibile. Tant'è che ieri sera hanno ripreso a circolare le ipotesi di amministrazione straordinaria per tagliare i ponti con Mittal ed estrometterlo dalla società. Amministrazione straordinaria che era uno dei tre scenari che il Governo aveva presentato ai sindacati e che sembrava il più lontano e comunque quello a cui ricorrere solo come extrema ratio (gli altri due erano la prosecuzione dell'attuale rapporto con Mittal ma su basi rinnovate e la soluzione consensuale tra le parti per portare lo Stato in maggioranza). Invece adesso sembra tornare di attualità.

Lo strumento per l'amministrazione straordinaria c'è ed è il decreto legge di un anno fa. Allo stesso tempo, è in piedi anche l'ipotesi della composizione negoziata della crisi di impresa. Quest'ultimo è un percorso riservato e stragiudiziale con il quale il legislatore intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l'insolvenza, hanno però le potenzialità necessarie per restare sul mercato anche mediante il trasferimento dell'azienda o di rami di essa. In ogni caso, il Governo deve preparare un'exit strategy in poco tempo. O quasi. Per l'11 gennaio ha infatti convocato i sindacati (è un impegno che aveva già assunto nel confronto del 29 dicembre a Palazzo Chigi) ed è presumibile che già in quella sede esponga almeno le linee di come intende muoversi.

Se l'incontro di ieri avesse preso una piega diversa, il primo step dell'azione pubblica sull'ex Ilva avrebbe visto il Governo convertire in capitale i 680 milioni che, attraverso Invitalia, ha erogato ad Acciaierie mesi addietro. A valle dello stesso decreto legge di un anno fa. Ha dichiarato il 2 gennaio 2023 in una intervista a Quotidiano il ministro Urso: «Abbiamo raggiunto un accordo con ArcelorMittal che prevede la possibilità di utilizzare le risorse finanziarie, già previste come finanziamento soci, trasformabili anche prima del 2024 in quota capitale su semplice richiesta di Invitalia. Nel contempo - disse Urso - è stato firmato un accordo tra le parti che riequilibra a vantaggio del pubblico quanto stabilito nei patti riscritti a dicembre 2020. Nei nuovi patti parasociali sono cambiati i criteri di governance e gli assetti finanziari futuri a vantaggio dello Stato».

Con questi 680 milioni convertiti, Invitalia sarebbe salita in Acciaierie dal 38 al 60. Il secondo step, invece, avrebbe visto la sottoscrizione, in quota parte, di ulteriori 320 milioni, che sarebbero serviti ad affrontare le urgenze dell'azienda: la fornitura del gas, l'indotto e i fornitori, le materie prime per la produzione dell'acciaio. E il pubblico sarebbe ulteriormente salito al 66. Ma su questi 320 milioni Aditya Mittal ha detto no. Ed è quindi nettamente cambiato il quadro che nei giorni scorso era sembrato profilarsi nell'incontro tra Bernardo Mattarella per Invitalia e Ondra Otradovec, manager di punta di Mittal, quando si è parlato, da parte di fonti vicine al dossier, di "passi avanti". Nulla di tutto questo. Il no pronunciato dal ceo della multinazionale al Governo, conferma che Mittal non è più interessato all'Europa e quindi all'Italia. Ha obiettivi su altre parti del mondo e questo fa prevalere, altro che interesse per l'ex Ilva. D'altra parte, si osserva, lo aveva detto di recente anche Antonio Gozzi, presidente di Federacciai.

Il futuro

Il ragionamento, in sintesi, è: Mittal non vuole investire più nei suoi stabilimenti che funzionano in Europa, figuriamoci se ha voglia di investire a Taranto, dove la situazione è molto complicata. È un'operatore globale, ha di fronte a sè il mondo, ha comprato la seconda siderurgia indiana, Paese nel quale, in 10 anni, passeranno da 130-140 milioni di tonnellate di acciaio a 250 milioni, e ora come target ha Asia, Stati Uniti e Brasile, non più l'Europa. E quindi il no di Aditya Mittal si riallaccia da un lato al contesto globale e dall'altro ai consigli di amministrazione e alle assemblee dei soci di queste ultime settimane tutte chiusesi con un nulla di fatto. Ma non è tutto. È un anno che Urso chiede a Mittal di fornire risposte al Governo, cioè un piano credibile di investimenti nella logica del pubblico-privato. E risposte da Mittal non ve ne sono state. Così come senza risposta è stato il memorandum che Fitto ha sottoscritto l'11 settembre con Mittal e Acciaierie, anche questo ispirato alla collaborazione tra le parti. In sostanza, ieri Mittal ha confermato un disimpegno già esternato più volte. E ora è difficile che il pubblico faccia tutto da solo, cioè agisca solo lui e vada in maggioranza. Ecco, quindi, l'ipotesi (possibile) del commissariamento. Infine, domani c'è l'udienza al Tar della Lombardia per il gas ad Acciaierie. Snam Rete Gas, che voleva interrompere la fornitura già a novembre, è stata bloccata dalla sospensiva sino al 10 gennaio decisa dal Tar al quale Acciaierie si è appellata con un ricorso. Improbabile che il Tar possa decidere già domani e in ogni caso, vista la situazione, Snam il 10 non effettuerà alcun distacco.

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