I troppi fronti di questo governo

di Mauro CALISE
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Domenica 3 Aprile 2016, 20:26
La prontezza e la – consueta – sicurezza con cui il Premier ha provato a liquidare l’incidente del suo ex-ministro non devono ingannare. Stavolta, la botta c’è stata. E non verrà assorbita facilmente. Intanto, per l’episodio in se che, sul piano dell’immagine, tocca un nervo scoperto della classe politica. Proprio uno di quelli su cui Renzi ha insistito, a più riprese, che avrebbe, invece, cambiato verso. Nel momento in cui la ripartenza del paese appare più lenta e precaria e tutti sono chiamati a stringere, ancora e non si sa per quanto, la cinghia, sentire – viva voce – un ministro della Repubblica occupato a seguire gli interessi privatissimi del suo fidanzato, è una macchia sulla reputazione di tutto l’esecutivo. Non, forse, sul piano formale e nemmeno – probabilmente – su quello sostanziale. Ma certamente su quello ideale che in politica, di questi tempi, è una risorsa vitale.

La gravità dell’accaduto aumenta se ci si domanda in che misura si riuscirà a cicatrizzarlo o se, invece, è destinato a lasciare strascichi. O, addirittura, ad alimentare una – più generale – spirale antigovernativa. Le mozioni di sfiducia annunciate, tambur battente, dalle opposizioni non sbalzeranno di sella il premier. Ma serviranno a tenere i riflettori accesi e l’esecutivo sul banco degli accusati. In attesa che – più o meno inaspettata – arrivi una nuova buccia di banana. La notizia che il Tar ha riaperto la partita degli scontrini di Renzi, quando era sindaco di Firenze, di cui i grillini avevano chiesto un rendiconto dettagliato, potrebbe fare sorridere. Pensando alle sfide globali in cui il Premier è attualmente impegnato, sul fronte militare, economico e umanitario. Ma questa è oggi la democrazia del pubblico, per usare la tristemente celebre definizione di Manin. Uno scenario in cui – ai fini del consenso e della legittimazione popolare – può contare più l’entità di un conto al ristorante che quella della sicurezza nazionale.

Col che veniamo all’altro fronte critico che può saldarsi e fare corto circuito con lo scivolone della Guidi, il fronte delle scadenze elettorali. Nell’ordine temporale, e di importanza, il referendum no-triv, i nuovi sindaci nelle grandi città, e lo show-down autunnale sulle riforme costituzionali. Fino all’intercettazione incriminata, la questione delle trivellazioni off-shore era rimasta ai bordi del dibattito politico nazionale. E il disimpegno del Pd sul voto aveva contribuito a defilare il governo dalla vicenda. Ma adesso diventerà difficile sostenere che gl interessi in gioco non toccano l’esecutivo, visto che addirittura un ministro ci ha rimesso – indirettamente – la poltrona. Sul piano dell’immaginario collettivo, il governo da spettatore neutrale si sta trasformando in parte in causa. E se la causa dovesse andare male, la vittoria dei no-triv diventerebbe – a torto o a ragione – un altro colpo allo smalto del primo ministro. Poi, a giugno, arrivano le amministrative. Allo stato confusionale in cui siamo, è impossibile fare pronostici. Ma, a meno di clamorose sorprese, Renzi ha – quasi – tutto da perdere. Diamo pure per assodato che non franino le roccaforti del buongoverno Pd, come Bologna e Torino. Due successi annunciati che farebbero – una disastrosa – notizia solo se si trasformassero in debacle. Ma nelle tre principali metropoli del paese, le prospettive appaiono grame. E nel caso, più che probabile, che Napoli finisca a De Magistris e la capitale ai grillini, Milano diventerebbe, per Renzi, una sorta di stalingrado. Perderla avrebbe ripercussioni – potenzialmente – catastrofiche.

Il premier arriverebbe, infatti, allo show-down del referendum costituzionale sulla scia di una sequela di insuccessi. Senza contare gli imprevisti – si fa per dire – degli sbarchi incombenti sulle coste della Sicilia. Nonché quelli di un quadro europeo di giorno in giorno più terremotato. Altro che il piglio vincente con cui ha trascinato gli italiani al fatidico 40 per cento la cui luce riflessa resta ancora il suo asset più importante. Cosa succederebbe nelle urne? Quali sono le probabilità che, da marcia trionfale per l’incoronazione del leader, il referendum costituzionale si trasformi in un clamoroso capitombolo? Se lo stanno chiedendo in molti. In primis, quei compagni di partito che non hanno abbandonato la speranza che, nella storia della vecchia sinistra, Renzi sia solo un incidente di percorso.
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