Architettura, il designer Dario Dalla Lana: «La capacità di conquistare like sui social diventa fondamentale»

L'abitabilità diventa un fatto "virale" e rischia di diventare secondaria rispetto alla facoltà di attirare clic su Instagram

I palmenti di Pietragalla, foto di Matteo Della Torre
I palmenti di Pietragalla, foto di Matteo Della Torre
di Valeria Arnaldi
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 12:20 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 07:50

Vissuta, abitata, progettata. O anche solo desiderata, fotografata, raccontata, perfino invidiata.

L'architettura, guardando al futuro, scopre nuove dimensioni. Prima tra tutte, quella dell'iconicità, che va oltre diventando capacità di farsi virale sui social. Insomma, l'abitabilità rischia di diventare secondaria rispetto alla facoltà di attirare clic su Instagram.

L'architetto Dario Dalla Lana



Dario Dalla Lana, architetto, che si occupa di progettazione d'interni e design, curatore, con Chiara Sbarigia della mostra di Archivio Luce Cinecittà “Architetture inabitabili”, fino al 5 maggio alla Centrale Montemartini di Roma, come si traduce il concetto di iconicità in architettura? 
«L'iconicità è un tema fondamentale. Spesso le architetture iconiche sono difficili da abitare, quasi anti-architettoniche, perché l'architettura è radicata nel luogo, l'iconicità invece è spendibile ovunque. E in epoca di social media, più si slega dal contesto più è efficace». 

È questo il vero tema oggi?
«Credo si sia sempre cercata. Pensiamo a Le Corbusier, con Ville Savoye, che slega l'architettura dal luogo trasformandola in un parallelepipedo su pilotis. Ora con la proliferazione di immagini, il processo sta registrando un’accelerazione estrema, che porterà a un mondo senza confini, ma non è detto che non tornino».

In che modo? 
«In parte lo vediamo già nel recupero di talune tradizioni all'insegna di più mescolamenti.

Pensiamo anche al passato. L'internet di una volta era il libro stampato. Palladio si è ispirato all'architettura romana, immaginandola, e il suo stile si è diffuso nel mondo. La villa coloniale Usa è nata in Veneto».

La pandemia ha portato la fluidità in casa: si confermerà questo il trend di domani?
«La divisione in stanze tradizionali non esiste più. E questo si vede nel design, anche di massa. Oggi i cataloghi non sono più legati alle stanze ma alle attività che si svolgono. Ciò vuol dire andare oltre l'idea di home office per costruire una sorta di ibridazione tra spazio commerciale e spazio di vita». 

Guardando al futuro, c'è chi prospetta la nascita di comunità nel verde, abitate da persone con i medesimi interessi. 
«È probabile, è una prospettiva che nell'architettura occidentale ritorna periodicamente, specie in periodi di disumanizzazione, quando a vincere è il modello della grande metropoli, ma sono fenomeni di nicchia». 

Cosa definirà l'iconicità?
«La ricerca si conduce su due piani: l'oggetto in sé e quello fotografato. Non è la stessa cosa guardare all'architettura vissuta e alla sua immagine. In epoca di Instagram, di fronte all'estremizzazione di certe tecnologie, sono virali anche immagini di architetture-non-architetture, come l’ufficio realizzato in un furgone sulla scogliera. Ma vale solo su Instagram o anche nella vita reale?».

Cosa conterà di più? 
«Bisogna capire se l'“instagrammabilità” diventerà una funzione. Ed è fondamentale, anche perché i canoni di una foto bella non sono necessariamente gli stessi di una foto virale». 

La AI giocherà un ruolo, dando spazio ai giovani?
«Carlo Scarpa diceva che l'architettura è un mestiere da vecchi, va fatto dopo un lungo training. Forse la AI consentirà ai giovani di colmare il gap di esperienza. Tra ciò che si vede e ciò che si abita, però, c’è grande differenza».

L'obiettivo ora? 
«Guardare all'architettura come qualcosa che ci parla di noi e della nostra storia».

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