Fitto: «Transizione per l’ex Ilva, adesso servono scelte ragionate»

Fitto: «Transizione per l’ex Ilva, adesso servono scelte ragionate»
di Domenico PALMIOTTI
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Domenica 14 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:35

Si parla di transizione e di futuro, si chiamano a confronto i rappresentanti delle maggiori aziende (da Renantis, ex Falck Renewables, a Eni, da Terna a Snam, da Enel a Edison), emerge che Taranto ha importanti carte da giocare nei nuovi scenari, ma tuttavia il pensiero corre sempre al problema dei problemi: l’ex Ilva

In diretta al ministro Raffaele Fitto (Affari europei, coesione e Pnrr), collegato con la platea del convegno Confapi sulla transizione, la stessa Confapi sollecita risposte. E chiede un’accelerazione partendo dalla revisione dell’assetto societario che vede in Acciaierie d’Italia il privato Mittal maggioranza e lo Stato, con Invitalia, minoranza.

«Evitiamo di ripetere gli errori»

«Sugli ingressi e sulle scelte è un piano un po’ più complesso - risponde Fitto -. Mi permetto di non entrare nel merito in modo generico. Parliamo della più grande acciaieria d’Europa.

Bisogna fare un ragionamento abbastanza attento che non ripeta degli errori. Capisco che bisogna fare in fretta, lo stiamo cercando di fare, però bisogna sempre farlo tenendo conto che si tratta di un problema così annoso col quale è preferibile avere qualche giorno, e sottolineo qualche giorno, di approfondimento e riflessione in più piuttosto che una scelta accelerata che poi magari produca delle difficoltà più complessive successivamente».

L’ex Ilva, per Fitto, «è un tema che richiama non solo un grande investimento ma una dinamica nazionale». Come per il Pnrr, dove su 220 miliardi, 110 sono per le infrastrutture e le opere pubbliche. «Che portano con sé anche il tema della capacità di produzione - avverte Fitto, probabilmente riferendosi all’acciaio che sarà necessario -. Si tratta di costruire una dinamica industriale col ruolo dello Stato propositivo e di coordinamento». 

Confapi: «Bisogna valorizzare l'indotto»

«Riteniamo che la transizione gemella, ambientale e tecnologica, sia un orizzonte a cui dobbiamo guardare anche per rispetto dei nostri figli. Ma sappiamo che la sostenibilità ambientale non può prescindere da quella economica. Senza impresa non c’è lavoro, sviluppo e forse nemmeno l’ambiente» dichiara Cristian Camisa, presidente nazionale Confapi. «Non possiamo permetterci di perdere un tessuto produttivo di tale importanza - aggiunge Camisa sull’ex Ilva -. Le nostre aziende sono quelle che rappresentano l’indotto. Dobbiamo valorizzarlo. Queste aziende sono il motore dello sviluppo. Dobbiamo lavorare tutti insieme per portare avanti nel breve termine una riconversione dell’ex Ilva avendo come obiettivo quello della sostenibilità ambientale ed economica. Approfittiamo del Pnrr per rendere l’ex Ilva l’acciaieria più tecnologica e green d’Europa».

E mette dritta sulla transizione la barra del futuro di Taranto il sindaco Rinaldo Melucci, quando sostiene che «troppo spesso focalizziamo l’attenzione sulle criticità e non sulle opportunità. La transizione è opportunità, non solo costi. È chiaro che ci spaventiamo e la montagna ci sembra ripida da scalare. Ma se la Ue insiste sul processo di decarbonizzazione è perché siamo andati oltre le difficoltá, perché aggregando ai bassi costi del carbone i costi sociali ed economici, vediamo che non reggono più. E quindi - sostiene il sindaco rivolgendosi alla platea che vede presenti anche esponenti Confindustria Taranto e Aigi - gli ostacoli diventano opportunità anche come emancipazione delle nostre imprese. Nel mare delle difficoltà le aziende non sono sole. Devono avere la fiducia di investire in percorsi nuovi».

I privati e le imprese, tasto dolente. «Non abbiamo presentato un progetto privato per la decarbonizzazione che, può piacere o no, si deve fare - evidenzia il sindaco -. Serve allora l’approccio delle imprese che con coraggio cominciano a diversificare. Abbiamo aziende energivore che devono decarbonizzare, riqualificare il personale, avere una strategia progressiva di transizione. Se facciamo queste cose tutti insieme, scopriremo nel medio periodo che la transizione è vantaggiosa». 

Secondo Fitto, «una realtà come Taranto rappresenta una questione in cui le contraddizioni sono evidenti di carattere ambientale collegate allo sviluppo. Capisco che si è sempre tentato di usare un approccio secco. Io credo che sia il momento di immaginare una soluzione ragionata». Per il ministro, la «riprogrammazione delle risorse del Pnrr e del Repower Eu e tenendo conto del Just Transition Fund, che prevede 1,2 miliardi di cui 800 milioni destinati a Taranto, possono rappresentare un’occasione importante per avere una visione di insieme che sia in grado di intervenire sugli investimenti esistenti e sulle presenze attuali». Bisogna cercare «di creare le condizioni perché si possa avviare realmente una transizione ma al tempo stesso senza perdere il profilo di un territorio che ha bisogno di investimenti», sostiene Fitto. 

Nella nuova visione c’è spazio anche per i Giochi del Mediterraneo. «Il Governo ha definito un percorso di accelerazione, perché non mi viene altro termine concreto, nella realizzazione di un altro appuntamento importante come i Giochi del Mediterraneo», dichiara Fitto. Nessun cenno o risposta alle polemiche sul commissariamento. Per Fitto, i Giochi non sono «solo la realizzazione, pur concreta e reale, dell’impiantistica sportiva» ma un avvenimento «che potrebbe rappresentare, e nell’idea del Governo lo è, una centralità di Taranto e della Puglia nel contesto del Mediterraneo come viene spesso delineato nell’azione di Governo dal presidente Meloni», che «tra le principali missioni a livello internazionale messe in campo» ha toccato Algeria, Etiopia e Libia. Per il ministro, in questo modo «si punta a rafforzare un rapporto con Paesi che sono ricchi di grandi opportunità dal punto di vista industriale e dello sviluppo e che soprattutto rappresentano una possibilità di dare una centralità vera all’Italia nel contesto del Mediterraneo, allacciando rapporti non solo sportivi ma anche e soprattutto sociale, culturali, e quindi economici».

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