«Se la prima siderurgia del mondo è intenzionata seriamente a rilanciare il più grande asset industriale d’Italia mettendo soldi e management, noi riteniamo che non ci sia soluzione migliore. Se Londra non è disponibile a fare questo, bisogna cambiare spartito. Bisogna cercare un altro piano. Lo dico con grande chiarezza e questa affermazione, così importante, è stata da me vagliata con la comunità dei siderurgici italiani. Non è farina del sacco di Gozzi, è farina del sacco della comunità. Abbiamo soppesato parola per parola».
Nella conferenza stampa che ieri mattina ha preceduto di poche ore l’assemblea di Federacciai a Milano - svoltasi nell’ambito dell’evento di settore Made in Steel - Antonio Gozzi, che Federacciai presiede, è chiaro e diretto sul tema dell’ex Ilva di Taranto, ora Acciaierie d’Italia.
Il confronto in corso
«Sappiamo che c’è un confronto tra socio privato e socio pubblico a proposito del piano industriale - aggiunge Gozzi sull’ex Ilva e su Mittal -, sappiamo che questo confronto non va bene» e che «estremismi vari in questi anni non hanno aiutato il privato a fare il suo ruolo a Taranto». «Il privato - rileva Gozzi su Mittal - ha avuto anche momenti di disimpegno perché ha tolto management, ha tolto garanzie finanziarie, ha creato un’altra organizzazione commerciale. Noi diciamo con chiarezza - anche se è un nostro associato, ma perché siamo onesti intellettualmente - che col disimpegno non si risolvono i problemi».
La situazione ambientale
Gozzi sulla questione ex Ilva vede una situazione migliorata, e ne spiega il perché, ma ammette pure che i problemi ci sono. «Rispetto alla situazione che ho vissuto nel mio primo periodo di presidenza di Federacciai - spiega Gozzi facendo un piccolo excursus dal sequestro ai Riva -, sento una situazione diversa e migliore. Sia pure con tutte le sue incognite e i punti di incertezza. Situazione migliore perché oggi il clima mi sembra diverso rispetto al parossismo di scontro tra lavoro, ambiente e salute che generò estremismi politici, giudiziari, che sono alla base della crisi dell’Ilva di oggi e che procurò quello che ho sempre chiamato, e continuerò a chiamare, un esproprio senza indennizzo ad una delle famiglie industriali più importanti d’Europa».
La decarbonizzazione
Tuttavia, se per il numero 1 di Federacciai il clima non è più ostico come anni fa, «restano i nodi aperti. Oggi si pone il problema della decarbonizzazione, che è altra cosa rispetto all’ambientalizzazione, e di un piano industriale». «Normalmente i piani industriali sono riservati alle proprietà private e io non avrei titolo per entrare nel dettaglio - sostiene Gozzi su AdI -, ma lo faccio perché lo Stato italiano è socio. Quindi io ho pienamente titolo per interloquire sul tema». Anche per Taranto, sostiene Gozzi, bisogna «seguire il modello ibrido che segue tutta la siderurgia europea e la transizione. Tedeschi e francesi sono chiarissimi da questo punto di vista e dicono che una buona parte dell’acciaio prodotto dal ciclo integrale deve essere sostituito da forni elettrici, ma non tutto. Questo significa per Taranto che, accanto al passaggio di una parte significativa di produzione al forno elettrico, l’altoforno 5, a nostro giudizio, va revampato e va revampato rapidamente, naturalmente applicando le tecnologie della decarbonizzazione. L’altoforno 5 è uno dei grandi vantaggi competitivi». Inoltre, sottolinea il presidente di Federacciai «se si costruiscono forni elettrici - lo diciamo per Taranto ma vale in generale - non si può fare finta di vedere che bisogna occuparsi della carica metallica. In Italia consumiamo più di 20 milioni di tonnellate l’anno di rottame ma di questi 6-7 li importiamo. Il sistema italiano è corto di rottame. È chiaro che se aggiungiamo altri forni elettrici dobbiamo occuparci di cariche metalliche».
Il preridotto
E per Taranto è in pista la costruzione di un impianto di preridotto di ferro (il semiprodotto da caricare nei forni elettrici al posto del rottame) da parte della società pubblica Dri d’Italia che ha a disposizione anche un miliardo di euro stanziato col decreto Aiuti Ter dell’anno scorso. Ma è previsto anche un secondo impianto di preridotto per fornire i privati, al momento non ancora finanziato. Gozzi lo dice quando afferma che «abbiamo appoggiato e stiamo lavorando ad un consorzio di elettrosiderurgici italiani insieme a Dri d’Italia per supportare quest’ultima nella realizzazione di un impianto dedicato all’Ilva ma anche ad un secondo impianto che dovrebbe occuparsi dei fabbisogni crescenti dell’elettrosiderurgia italiana. E siccome lo Stato è socio di Acciaierie d’Italia, lo Stato deve vigilare perché questo progetto di Dri d’Italia portato dai privati vada avanti».
Su Taranto, rimarca Gozzi con riferimento alle spese in conto capitale per gli investimenti, «ci vogliono investimenti. Taranto è sotto capex da dieci anni. Ci vogliono un piano industriale e un significativo intervento sugli impianti in modo da garantire sempre meglio la qualità del prodotto e la sicurezza».
Gozzi glissa sulla domanda relativa ad un eventuale coinvolgimento di altri siderurgici italiani nell’operazione ex Ilva. «No comment» è la sua risposta secca. Alimentare la decabonizzazione con l’idrogeno verde? «L’Italia deve cercare la sua strada» risponde Gozzi, che lancia invece l’utilizzo del turbogas decarbonizzato. «Ma se il gas lo decarbonizzo - sostiene - perché non usarlo?».
Infine, c’è bisogno per Gozzi di un ruolo diverso dell’Europa. «In Italia nella decarbonizzazione siamo più che in pole position - rileva - ed Eurofer stima che la metà dei 90 milioni di tonnellate di acciaio fatte oggi col carbone in Europa, verrà riconvertita col forno elettrico nei prossimi dieci anni. Ogni milione di tonnellata riconvertita costerà un miliardo. Ci vogliono 50 miliardi quindi, ma l’Europa non se ne occupa. Non esiste un fondo per aiutare questi settori a riconvertirsi».