Un risarcimento di un milione e 200.000 euro. E una rendita vitalizia di poco superiore a 1.500 euro al mese. Questa la somma che il Ministero della Difesa dovrà pagare alla vedova e ai figli di un ex operaio dell’Arsenale ucciso dal cancro e riconosciuto come vittima del dovere. La sentenza che ha dichiarato “vittima del dovere” lo sfortunato operaio è arrivata ad aprile dello scorso anno, a ben tredici anni dalla morte del lavoratore. Grazie proprio all’iniziativa dei suoi familiari che si sono affidati all’avvocato Mario Soggia, per ottenere quel riconoscimento per il loro congiunto stroncato dal 2008 da un cancro ai polmoni. Una malattia che la vittima, un lavoratore a lungo impiegato nell’Arsenale jonico, aveva contratto proprio a causa delle sue mansioni. Quel lavoro, infatti, lo ha costretto a vivere costantemente a contatto con le micidiali fibre di amianto e non solo. Dopo quel verdetto del giudice del Lavoro, lo stesso legale ha ottenuto l’indennizzo da oltre un milione di euro e la quantificazione della rendita vitalizia.
La storia
Il lavoratore venne stroncato a soli 63 anni da un carcinoma polmonare, diagnosticato l’anno precedente.
Nella sua relazione, infatti, l’esperto aveva specificato che la «neoplasia polmonare che condusse alla morte il lavoratore è causalmente ricollegabile all’attività svolta presso il Ministero della Difesa». Nel ricorso, inoltre, il legale, rifacendosi alle conclusioni del consulente d’ufficio aveva ribadito come nel corso della sua attività in MarinArsen, il lavoratore all’interno del reparto fonderie dello stabilimento, avesse utilizzato “molazze, forni fusori forni fusori e forni di essicamento ed era stato perciò esposto ad amianto e ad altre numerose sostanze nocive come vernici, idrocarburi, cadmio, cromo, trielina e polveri derivanti dalla lavorazione dei metalli. «Dunque l’attività lavorativa e le mansioni espletate debbono farsi rientrare, almeno come concausa - aveva spiegato l’avvocato Soggia - tra le lavorazioni a rischio di insorgenza dei tumori del polmone, sicché la malattia del lavoratore è causalmente ricollegabile, con un elevato grado di probabilità, alla sua attività lavorativa». E di conseguenza anche la sua morte, provocata dalla progressione della malattia e dalle sue complicanze, deve essere ricondotta alle mansioni svolte durante la sua vita lavorativa. Una lettura che ha convinto il giudice della fondatezza del ricorso, che è stato accolto.
Da quel pronunciamento, a distanza di oltre un anno, è arrivata anche la quantificazione del risarcimento e della rendita vitalizia che dovrà pagare il Ministero della Difesa ai familiari dell’operaio deceduto a 63 anni.