De Giorgi nella Hall of Fame della pallavolo. «Olimpiadi, il nostro sogno proibito: crediamoci». L'intervista

Fefè De Giorgi - commissario tecnico della nazionale italiana di pallavolo
Fefè De Giorgi - commissario tecnico della nazionale italiana di pallavolo
di ​Giuseppe ANDRIANI
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Mercoledì 7 Febbraio 2024, 11:21 - Ultimo aggiornamento: 11:29
Inserito nella Hall of Fame, tra i migliori pallavolisti di sempre. E anche il libro "Egoisti di squadra" (presentato ieri a Liberrima, a Lecce) è stato un successo. Fefè De Giorgi - commissario tecnico della nazionale italiana di pallavolo - oggi trasforma in oro tutto quello che tocca. Racconta il percorso, quello in campo e quello fuori. Non cita mai le Olimpiadi, ma lo sguardo gli si accende quando ne parla. E non nasconde il sogno. L’incontro nella redazione di Nuovo Quotidiano di Puglia.
Coach, anche il libro è stato un successo. 
«Il libro è stato ristampato ed è un buon segno. Me ne accorgo per le richieste di presentazioni. Infatti ogni tanto spiego che faccio l'allenatore di pallavolo, non solo il presentatore del mio libro. Scherzi a parte, è una bella soddisfazione». 
Egoisti di squadra: qual è il messaggio che vuole far passare? 
«Non è un libro che parla solo di volley, è molto aperto al concetto di crescita individuale in tutti i settori. L'obiettivo è stimolare chi ha voglia di confrontarsi. C'è un percorso pedagogico all'interno, con Giuliano Bergamaschi, il pedagogo che fa parte del mio staff». 
Lunedì a Bologna è stato inserito nella Hall of Fame dei giocatori. Che effetto le fa? 
«L'evento è stato emozionante. Si respirava un'aria particolare. Sicuramente è un riconoscimento che dura in eterno: rimane lì, scripta manent. Entri nella storia di una federazione e questo ti viene riconosciuto. Vuol dire sentirsi una persona importante per lo sport italiano. Poi ho ripensato a tutto il percorso, dall'inizio fino a oggi, a tutte le persone conosciute. C'era anche Julio Velasco, per me è stato un allenatore importante». 
Qual è la vittoria più bella? 
«Devo intanto dividere il percorso da giocatore da quello da allenatore. Non c'è, però, un trofeo preferito. Forse direi la prima convocazione in Nazionale, ha avuto su di me un impatto molto forte, come la vittoria di un mondiale. Alcune sensazioni vissute con gli azzurri sono state particolari, così come i successi da allenatore. Vincere da commissario tecnico è tutta un'altra cosa». 
Manca solo un successo, adesso. O no? 
«Lo ricordiamo tutti. Puntiamo a fare il massimo, con i passi giusti. Intanto dobbiamo qualificarci, poi cercheremo di arrivarci bene». 
Lei non c'era alle Olimpiadi del '92 e del '96. Può essere proprio lei il "portafortuna"? 
«Intanto preciso che la fortuna non basta per vincere le Olimpiadi. Per me la fortuna è che i giocatori non si facciano male, perché purtroppo gli infortuni non sempre sono controllabili. Voglio essere fortunato in questo senso. La pallavolo è uno sport più preciso del calcio, ad esempio: chi gioca meglio vince. Sai che se giochi meglio degli altri, vinci». 
Quali sono le avversarie più accreditate? La Polonia, e poi? 
«In questo momento vedo tre o quattro squadre importanti, non ce n'è una nettamente più forte delle altre». 
Sport e non solo: lei ce l'ha fatta partendo da Squinzano, dal Salento. È più difficile arrivare in alto se si parte dal Sud? 
«Sì, purché questa non diventi una scusa. La Fipav da quest'anno va in tutte le regioni con il Club Italia allargato. Guardiamo decine di ragazzi in ogni città e selezioniamo. Ci sono le occasioni per mettersi in mostra, è chiaro che poi le squadre che danno l'opportunità di crescere con tranquillità non sono tantissime. L'importante è che un ragazzo che vive al Sud e vuole fare pallavolo sappia sfruttare le occasioni, perché comunque arrivano. Bisogna, però, ammettere che manca un po' di continuità. Ricordo il caso dell'Ugento nel volley: quando lo sponsor è venuto meno, è finito tutto. E poi paghiamo dazio sulle strutture sportive». 
A Squinzano il palasport è intitolato a lei. Che si prova ad avere un'intitolazione da vivente? 
«Quello è il più grande attestato di stima che si possa ricevere. Tutti mi chiedono: cosa provi? Rispondo che intanto io ho visto un impianto sportivo dedicato a me (sorride, ndr). Avere un'intitolazione in vita vuol dire diventare un esempio, quindi è una responsabilità. Bisogna stare attenti anche a come ci si comporta. Però sono cose che fanno un enorme piacere. Finché sono in attività mantengo alta la concentrazione: nel mondo dello sport, devi sempre dare tutto, sennò non si vince». 
De Giorgi vincente ma soprattutto De Giorgi salentino. Non ha mai spostato la residenza da qui. Perché?
«Qui ho la mia terra, le origini, la famiglia. Le radici sono una parte importante del nostro percorso. Quando ci sono i momenti più complicati o importanti, a cosa ti aggrappi? Alla sostanza, alle radici. Quando vinci il carro è pieno, quando perdi ti restano le radici (sorride, ndr). Per questo sono stato contento di esser stato nominato ambasciatore dell'Università del Salento. Ecco, faccio l'ambasciatore da sempre. Dovunque io vada parlo subito del Salento, della Puglia». 
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