Mario Perrotta: «Dialogo con Calvino sull’oscuro senso della libertà». A Ceglie e Lecce il nuovo spettacolo

Mario Perrotta: «Dialogo con Calvino sull’oscuro senso della libertà». A Ceglie e Lecce il nuovo spettacolo
di Eraldo MARTUCCI
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Venerdì 14 Aprile 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 12:20

Il 15 ottobre 1923 nasceva Italo Calvino, scrittore e intellettuale tra i più influenti del ’900 anche per l’interesse che ha sempre dimostrato per la contaminazione della letteratura con altre forme d’arte e media: il teatro, la radio, la televisione e, soprattutto, la musica. Ma c’è una costante che attraversa la sua straordinaria fantasia di narratore, ed è il tema della libertà. Argomento da sempre nelle corde dell’attore, autore e regista leccese Mario Perrotta, vincitore per ben quattro volte del Premio Ubu, l’Oscar italiano del teatro: l’ultimo pochi mesi fa come “Miglior autore italiano teatrale anno 2022” per il testo che ha chiuso la sua trilogia dedicata alla famiglia, “Dei figli”. Il centenario calviniano è stato allora per Perrotta l’occasione per parlare di questo tema con il suo nuovo monologo, “s/Calvino. O della libertà”, ribadendo però che «questo non è assolutamente uno spettacolo su di lui ma piuttosto uno spettacolo dove io con Calvino ragiono di libertà. Proprio per evitare il rischio di dare una centralità eccessiva allo scrittore, ho deciso di cambiare il titolo che sarà sostituito da una frase del testo, credo molto suggestiva: “Come una specie di vertigine”, con il sottotitolo “Il Nano, Calvino, la libertà”».

Perrotta, in che misura il suo spettacolo prende spunto dalla lezione calviniana sulla libertà?

«Il centenario ha fatto coagulare pensieri che andavano avanti da tempo. Sono anni che mi interrogo sul senso della libertà, e la scorsa estate c’è stato un appuntamento, “Libertà rampanti”, legato a una grande ricognizione all’interno della cultura occidentale sul senso della libertà partendo dal concetto illuministico della libertà individuale che si deve si fermare laddove leda quella altrui. Ultimamente per molte ragioni, ma la più importante è stata la pandemia, ci si dimentica però di questo principio per veleggiare verso un altro molto più individualistico, incentrato sulla libertà assoluta di fare quello che vogliamo indipendentemente dagli altri. Il senso illuministico della libertà, quindi l’autodeterminazione, è stato peraltro il tema che assillato Calvino lungo tutta la sua produzione a prescindere dai vari momenti che si possono riconoscere nella sua opera: il romanzo realistico, quello fantastico, l’arte combinatoria. Da suo grande appassionato mi sono dunque deciso a ragionare di libertà attraverso la sua opera».

In quale direzione?

«Cercando un personaggio che potesse fare da filtro, e l’ho trovato nel libro “La giornata di uno scrutatore”, che oggi non è tra i suoi più noti al contrario di quando uscì nel 1963 nel momento di massima egemonia della Democrazia Cristiana. Un brevissimo romanzo autobiografico (per il protagonista usa però lo pseudonimo di Amerigo Ormea) che svelava le brutture del Cottolengo (istituto religioso di carità per malati con gravi disabilità e malformazioni), dove lui era stato prima come candidato alle elezioni del 1953 e poi come scrutatore a quelle amministrative del 1961.

In una paginetta compare la figura di un nano che ha uno scambio di sguardi con un onorevole della Dc. Sull’incrocio brevissimo dei loro sguardi Calvino costruisce una pagina meravigliosa in cui c’è tutto il suo ragionare sul senso della libertà e sulla vita. E sono rimasto talmente folgorato da questa apparizione da farne il protagonista del mio spettacolo, inventandomi tutta la sua esistenza. L’ho scelto perché tra i “personaggi” di Calvino è quello meno libero: non lo è fisicamente, non lo è mentalmente perché “provvisto di occhi senza pensieri dietro”; e ovviamente non è libero di determinarsi eticamente. Quindi un personaggio che anelerebbe a una qualunque forma di libertà, e che dando improvvisamente voce alla sua anima valuta, guardandoci negli occhi, quanto noi siamo indecenti nell’abusare della stessa».

Tutto questo come si traduce nello spettacolo?

«Non bisogna seguire tracce calviniane ma la parabola lirica di questo protagonista che fa una sorta di cavalcata all’interno dell’opera dello scrittore, e nel sintetizzare ciò che accade nei vari romanzi ho creato dei “precipitati” musicali in forma di teatro canzone che vanno da una ballata alla canzone trap, dal rep al classico fino al jazz e allo swing. Fra l’altro sono andato a indagare tutti i trapper e i rapper più famosi per cercare un linguaggio che parlasse dell’oggi e per tradurre “Il cavaliere inesistente” in forma di canzone “di spirito e corpo”, in cui appunto contrappongo un personaggio di solo spirito a uno di solo corpo: quello che ci accade quando ci mettiamo davanti agli schermi di un cellulare, di un tablet o di un computer e diventiamo privi di corpi, di odori, sapori di sguardi, creando dei danni incredibili immaginando vite che non esistono».

A proposito di libertà, oggi come vede quella del mondo artistico?

«Ogni tanto qualcuno vorrebbe mettere le gabbie anche a noi, e proprio questo contro questo “pericolo” ho scritto un testo che in alcuni passaggi è sicuramente “politicamente scorretto” con l’uso di parole quali nano, deforme, demente, che ora non si “possono” più dire per questa assurda “cancel culture”. Io le uso liberamente in scena perché penso di avere il diritto di farlo, e poi perché esprimo il mio pensiero senza cattiveria e anzi per difendere una causa. La libertà nella creazione artistica deve essere molto ampia, ma non totale. L’unica valutazione è appunto verificare se quelle parole e quegli argomenti sono utilizzati per denigrare una causa, e questo certo non va bene, o invece per perorarla o per farle una “fotografia”».

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