I corpi parlanti di Barletti-Waas: Koreja dedica una personale alla compagnia italo-tedesca

I corpi parlanti di Barletti-Waas: Koreja dedica una personale alla compagnia italo-tedesca
di Alessandra LUPO
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Giovedì 26 Gennaio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 05:15

Nel panorama teatrale attuale, l’esperienza di Lea Barletti e Werner Waas rappresenta una realtà di evidente peso specifico, sia per la profondità del livello di ricerca, intellettuale prima ancora che espressiva, sia per la difficile collocazione stilistica delle compagnia italo tedesca formata dalla coppia (i due sono marito e moglie) e del suo dialogo sopra e intorno al palcoscenico. «Non ci interessa parlare di noi, - spiegano Lea Barletti e Werner Waas - ci interessa parlare attraverso di noi, attraverso i nostri corpi, le nostre lingue, del mondo. Ci interessano testi attraverso i quali rendere possibile questo discorso, ci interessa farci portatori e testimoni di quei testi, essere strumento del testo e al contempo usare il testo come strumento». Un dialogo intellettuale, messo a servizio di un’espressione teatrale pura e vigorosa.

A Barletti/Waas i Cantieri Teatrali Koreja di Lecce dedicano una personale che condensa quattro spettacoli in tre giorni e che si apre domani sera alle 20.45 con “Autodiffamazione”, spettacolo che vede entrambi in scena sul testo del Premio Nobel Peter Handke. L’indomani toccherà alla loro ultima produzione “Parla, Clitemnestra!” e domenica ai due monologhi scritti da Lea Barletti, quello della buona madre e “Ashes to Ashes” (titolo che rende omaggio a David Bowie) in anteprima nazionale, che parla di Ambiente e futuro.

Lea Barletti, lei è leccese, com’è tornare in Puglia dopo dieci anni di lavoro all’estero?

«Tranne alcune brevi incursioni, sono dieci anni che viviamo e lavoriamo a Berlino.

Il nostro lavoro ha preso una forma più matura e siamo felici di riportarlo a casa».

Alcuni degli spettacoli avevano già fatto capolino da queste parti... 

«Sì, Il monologo della buona madre era stato presentato in un primissimo studio ai Teatri della Cupa, ma adesso è un lavoro più complesso, con una colonna sonora che crea insieme alla voce una partitura originale».

Il tema è quello della vocazione materna, molto attuale...

«Il tema della “vocazione materna” è il punto di partenza per cercare la propria vocazione generale, il proprio posto nel mondo nella propria esistenza».

Le reazioni?

«In sala molti spettatori uomini ci hanno confidato di essercisi ritrovati».

Nella vostra nuova fase c’è molto spazio per la musica...

«Luca Canciello è ormai un nostro collaboratore stabile e ha pensato e realizzato le musiche di entrambi i monologhi, anche dell’ultimo “Ashes to Ashes”, che invece è maschile pur essendo scritto da me e vede in scena Werner. Abbiamo voluto presentarli nella stessa giornata perché sono due facce di un dialogo che potrebbe essere idealmente collegato. Noi li chiamiamo il monologo nero e quello bianco, ma è solo per i colore dei costumi, in “Ashes to Ashes” il costume da clown bianco è un omaggio al video di David Bowie».

“Cenere alla cenere”, un canto all’ambiente ferito. E poi?

«Il punto di partenza è il cambiamento climatico, quell’estate nel 2019 bruciavano le foreste della Siberia: ho trasportato all’interno della coscienza del protagonista questo incendio».

E poi c’è il vostro ultimo lavoro, “Parla, Clitemnestra!” Nell’ultimo periodo c’è stata una grande attenzione del teatro alle eroine misconosciute, penso a Medea, Antigone...

«La moglie di Agamennone, che lo uccide e poi viene uccisa a sua volta da Oreste nell’Orestea, non ha mai avuto una tragedia tutta sua. Ma visto che secondo noi aveva da dire delle cose mi sono immaginata il dialogo tra lei e Agamennone prima del fattaccio. Lei gli parla prima di ucciderlo, è un testo se vogliamo femminista, se proprio dobbiamo dargli una formula».

Nel frattempo il vostro “Autodiffamazione” si è rivelato una notevole premonizione.

«Sì, intanto Peter Handke ha vinto il Nobel e continua in dieci anni di repliche ad avere molta presa sulla vita di tutti, una cassa di risonanza sull’esistenza di tutti noi».
 

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