La città pugliese più di tutte assetata di svolte, legalità e stabilità, oggi e domani torna al voto dopo il lungo commissariamento per infiltrazioni mafiose, ed è di per sé una buona notizia. Ma non solo: il verdetto di Foggia, presumibilmente spalmato tra primo e secondo turno, sarà anche un detonatore politico e un segnale-spia in vista della primavera elettorale di fuoco. Sarà un detonatore perché darà ulteriore impulso all’interminabile e spericolata corsa verso Europee e amministrative di Bari e Lecce. E Foggia sarà pure un segnale-spia, perché ai blocchi di partenza oggi ci sono centrodestra e centrosinistra nell’assetto ormai consolidato, quantomeno nelle rispettive spine dorsali, e cioè FdI-Lega-FI e Pd-M5s. Un “crash test” che può esaltare le alleanze o comprometterne in parte la tenuta.
Le alleanze: uniti, ma senza esagerare
Ecco, gli schemi di gioco sono il primo elemento d’analisi. Potremmo sintetizzare così: uniti, ma senza esagerare. Le forze politiche predicano il valore dell’unità – e lo applicano se non altro per un banale istinto di sopravvivenza e autoconservazione – però sempre guardinghe, tra distinguo, paletti, diffidenze. Da un lato è il frutto avvelenato della polverizzazione politica (sai che novità), dall’altro è un inevitabile antipasto delle Europee. Alle elezioni per Bruxelles si vota infatti col sistema proporzionale, dunque non sono previste alleanze ed è viceversa uno spietato “tutti contro tutti”. Che induce i partiti e i leader a caratterizzarsi con tratti più marcati, a “estremizzare” l’offerta politica, a caricare il linguaggio e i toni, a massimizzare il consenso, anche a costo di accentuare le differenze con gli abituali compagni di viaggio, tra non poche contraddizioni. Sotto questa luce è allora più semplice interpretare gli strappi della Lega e di Matteo Salvini, il quale per certi versi sta ripescando lessico e temi della fugace golden age del 34%, anche cavalcando la crisi internazionale; oppure le periodiche stilettate di Giuseppe Conte al Pd, o anche le sortite liberal-europeiste di Forza Italia e le strategie di Fratelli d’Italia, che oscillano tra responsabilità di governo, cauti tatticismi in Europa e tentativi di mantenere il contatto con l’agenda elettorale di destra (esempio: l’emergenza migranti, riportata con prepotenza da Giorgia Meloni tra i temi trend).
Anche a Foggia, del resto, è andato in scena un saggio del copione “uniti, ma senza esagerare”. Conte ed Elly Schlein tra giovedì e venerdì sono stati in città per sostenere Maria Aida Episcopo, ma niente palco condiviso, e niente abbracci e photo opportunity: iniziative separate e cordialissimo gelo. Il candidato di centrodestra, Raffaele Di Mauro, aveva invece al suo fianco i ministri Raffaele Fitto (FdI) e Annamaria Bernini (FI), e almeno una parvenza di unità è stata preservata, ma sempre con la sensazione di fondo dell’eccezionalità dettata da una sorta di stato di necessità.
Le partite (a scacchi) dei leader pugliesi
Prego prestare attenzione, anche, alla postura dei leader regionali: tutti in surplace e vigile attesa. Tradotto: non è ben chiaro cosa fare, né come farlo, ma prima o poi bisognerà alzarsi sui pedali e scattare. I destini incerti dei big pugliesi di fatto bloccano tutto e tengono (anche inavvertitamente) in ostaggio le coalizioni. Michele Emiliano prova a incerottare tutto a Bari e Lecce e guarda alla successione in Regione, senza però scenari chiari sul piano personale. Antonio Decaro sta gestendo a fari spenti la delicata e complessa transizione verso un nuovo candidato di centrosinistra al Comune, ma senza imporre una netta linea d’indirizzo, e correrà alle Europee (in attesa, forse, delle Regionali del 2025). Fitto – che potrebbe candidarsi per Bruxelles, puntando pure al ruolo di commissario europeo – e gli altri colonnelli pugliesi di centrodestra fanno melina, tanto a Bari quanto a Lecce battono sottotraccia anche le piste del civismo e della società civile, ma soprattutto aspettano le prime, vere decisioni del centrosinistra.
Una partita a scacchi, insomma. Giocata spesso al ribasso. E appesantita parecchio dalla paura di sbagliare mosse. Il centrosinistra a Bari e Lecce fa quello che meglio gli riesce quando non sa come orientarsi: si rifugia nel guscio delle primarie, ormai più un espediente d’ingegneria politica che altro, interpretate come la medicina a ogni male che purifica da peccati, divisioni, indecisioni. Oltretutto le primarie – proprio a confermarne la funzione a tratti provvisoria e illusoria – potrebbero essere cestinate in fretta e furia, in entrambi i casi: a Bari, se il Pd riuscirà a compattarsi attorno a un solo nome, convincendo il resto della coalizione; e a Lecce, se si riuscisse a convergere sul sindaco uscente Carlo Salvemini. Soluzioni suggerite più (appunto) dalla paura e dagli appelli emergenziali all’unità, che dal senso strategico e dalla capacità di alzare l’asticella su progetti e nomi. Tra l’altro – e sempre nel segno di “uniti, ma senza esagerare” – i cinque stelle a Bari e Lecce non vogliono saperne di primarie, mentre Sinistra italiana a Bari le boccia e a Lecce le sponsorizza. Troppo caos, per una coalizione che è al governo della Puglia e di Bari da 20 anni e che perciò dovrebbe farsi trovare più attrezzata e pronta.
Il centrodestra, nel frattempo, sta lì a bordocampo. Spera di sfruttare il vento nazionale, ma da qui alla primavera il fisiologico e parziale logoramento del governo, la strettoia di una Legge di bilancio a saldi rigorosi, la crisi internazionale, la possibile impasse energetica possono assestare non pochi scossoni al pendolo dei consensi e ai rapporti di forza. E allora uniti, ma senza esagerare. Perché da un momento all’altro tutto può sempre cambiare.
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