Troppo vino invenduto, ipotesi rottamazione: i produttori pugliesi dicono no

Troppo vino invenduto, ipotesi rottamazione: i produttori pugliesi dicono no
di Rita DE BERNART
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Domenica 18 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10:19

Più bollicine, bianchi e vini rossi di facile beva: le tendenze dei consumatori orientati verso prodotti più leggeri e meno alcolici mettono in crisi il mondo del vino. Poca richiesta, grosse giacenze di cantina e prezzi al ribasso: spunta l’ipotesi della rottamazione dei vigneti.

E in Puglia, terra di rossi strutturati ad elevata alcolicità, i nodi irrisolti di un comparto che da tempo chiede ordine e regole più chiare peggiorano la situazione: le quantità di prodotto invenduto, nonostante una vendemmia chiusa con una media del 20% in meno, sono aumentate rispetto all’anno precedente. La soluzione dell’espianto o della riconversione tuttavia, non piace ai produttori pugliesi che puntano piuttosto a un riordino della materia, a un monitoraggio e al completamento del catasto del vigneto pugliese, e, non in ultimo, a politiche di brand che possano rafforzare l’intera filiera. La difficoltà, invero, investe il mercato globale: la Francia in autonomia ha già finanziato con fondi nazionali un programma straordinario di ristrutturazione dei vigneti; se ne parla in California e Australia, mentre a Bruxelles nei giorni scorsi si è discusso in merito agli aspetti tecnici riguardanti la normativa europea che, al momento, non prevede l’espianto delle viti. 

I commenti

«Il problema nella nostra Regione c’è ed è importante- commenta Massimiliano Apollonio, produttore e presidente del Movimento turismo del Vino Puglia- nonostante una vendemmia scarsa lo stock dei vini rossi è aumentato del 30%. Il nodo principale però non è la sovrapproduzione quanto quello della mancanza di mercato, si vende tantissimo vino in cisterne e si imbottiglia poco; spesso il mercato viene fatto da altri per noi: è facile trovare le Doc pugliesi o i nostri vitigni, imbottigliati fuori regione, svenduti nei supermercati. D’altra parte il più grande imbottigliatore di primitivo è veneto. Altro aspetto penalizzante è l’aver distrutto l’alberello pugliese, allevamento tipico, a vantaggio di sistemi più facili da condurre e meccanizzare. Più volte abbiamo anche chiesto che fosse riconosciuto tra i vitigni eroici. Una soluzione sarebbe quella di blindare quanto più possibile la vendita fuori regione che porta valore aggiunto altrove e concentrarsi su politiche di brand. Vendere il territorio come fanno in Francia e non le singole produzioni e i marchi aziendali». 
Tendenze di mercato ma anche diverse zone grigie che ostacolano la crescita del comparto. «Ci sono dei dati oggettivi a cui guardare – spiega Gianni Cantele, dell’azienda di Guagnano in provincia di Lecce- le giacenze di cantina, la situazione dei prezzi dei vini sfusi e un generale calo di interesse dei consumatori per i vini rossi sono sicuramente elementi di preoccupazione. Inoltre c’è ancora un forte ritardo riguardo l’allineamento delle informazioni sul catasto vinicolo: in sostanza non sappiamo con esattezza la consistenza del vigneto pugliese; soprattutto in alcune province ci sono delle zone grigie, siamo forse l’unica regione in cui accade questo. A livello europeo ci sarà da ragionare su un probabile provvedimento, le ipotesi sono tante, occorre valutare, ma non prendere decisioni in un contesto di questo genere è rischiosissimo. Il mondo produce più di quello che consuma e come ha già fatto la Francia probabilmente anche altre aree andranno in questa direzione. Intanto in Puglia il programma che porterà alla diminuzione delle rese per le Igt potrebbe andare in parte a bilanciare il mercato». 
Regole chiare, tutela e controllo è la posizione di Marianna Cardone, produttrice di Locorotondo e presidente del Distretto qualità del vino pugliese. «Siamo assolutamente contrari – dice- a far passare questo messaggio anche perché il mondo del vino è legato a stretto giro a quello del turismo.

In Puglia ci sono aree molto differenti tra loro, in Valle d’Itria peraltro si è già fatto un passaggio verso un processo di qualità, siamo passati dai 18mila ettari degli anni 80 agli scarsi 2mila attuali, ora c'è bisogno di nuova luce. È impensabile quindi dare a tutta la regione una punizione del genere. Il lavoro della promozione va di pari passo con quello dell’agricoltura: ci battiamo per far passare un messaggio preciso. Ciò che servirebbe invece è la fotografia delle zone dove vanno ridotte le rese, aspetto di cui la regione si sta già occupando, e zone dove invece occorre una nuova programmazione anche sui diritti di impianto. Utile sarebbe avere un osservatorio: dopo aver stabilito le regole, ovvero le quantità rispetto alle richieste di mercato, occorre il controllo».

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