Stipendi sempre più leggeri, il Salento maglia nera

Stipendi sempre più leggeri, il Salento maglia nera
di Mattia CHETTA
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Sabato 4 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 14:29

Buste paga sempre più magre in Puglia con la provincia di Lecce fanalino di coda della regione con stipendi mensili in media da 1.200 euro lordi al mese. A tanto ammonta il compenso che nel 2021 hanno percepito i lavoratori dipendenti del settore privato nel Salento, dato che relega Lecce al 94esimo posto tra le province italiane nella classifica stilata da Cgia Mestre su dati Inps. A fare peggio Messina, Ragusa, Agrigento, Crotone, Nuoro, Cosenza, Trapani e Vibo Valentia.

Il report

Guardando alle altre pugliesi, è Bari a registrare la migliore performance attestandosi al 68esimo posto a livello nazionale con una retribuzione media annua di 16.920 euro (1.410 euro lordi mensili). Seguono Taranto (72esima), Brindisi (82esima) e Foggia (90esima). A chiudere, dunque, Lecce con una retribuzione media annua di 13.819 euro, classificandosi al 95esimo posto tra le 103 province. Più “ricchi” i colleghi del nord. Sono settentrionali, infatti, i territori che registrano le retribuzioni più alte: sul podio Milano (31.202 euro), Parma (25.912) e Bologna (25.797), poi Modena, Reggio Emilia, Lecco, Trieste, Torino, Bergamo e Varese.

Un problema – quello dei compensi – su cui i partiti di opposizione al governo di Giorgia Meloni da tempo hanno puntato i riflettori introducendo il tema del salario minimo. Più scettici, di contro, i sindacati che sottolineano l’importanza di applicare lo strumento della contrattazione collettiva. 

I sindacati


«Negli ultimi 30 anni mentre in Germania e Francia i salari sono cresciuti del 30% in Italia sono calati del 2% – ha dichiarato Gigia Bucci, segretaria di Cgil Puglia –. Le politiche economiche e le norme giuslavoristiche hanno prodotto un attacco costante ai diritti, portando alla frammentazione del mondo del lavoro e alla sua estrema precarizzazione. In Puglia si somma la prevalenza di settori dove i rapporti sono intermittenti, stagionali o a termine. Penso al turismo, con tutti i settori connessi, e all’agricoltura. Su 1,2 milioni di lavoratori pugliesi dipendenti nei settori privati, oltre 800mila sono nei servizi e terziario, comparti a basso valore aggiunto e quindi con bassi salari, oltre che caratterizzati da un mai superato fenomeno del sommerso. Tutto questo ha prodotto povertà salariale. E sono le ragioni che spingono la Cgil – ha continuato Bucci – a proporre un approccio complessivo al tema del salario e dello sviluppo, definendo un minimo salariale dentro la contrattazione e assieme intervenendo sul tema della rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini della contrattazione collettiva, sull’attrazione di nuovi investimenti produttivi in Puglia, sulla crescita dimensionale del sistema delle imprese per sostenere l’innovazione di processi e di prodotti in grado di attrarre lavoro qualificato e competere sui mercati non comprimendo salari e diritti». 


A sottolineare ancora una volta la poco incoraggiante situazione socioeconomica pugliese è il segretario di Cisl Puglia, Antonio Castellucci. «Bisogna mettere al centro le politiche di crescita e sviluppo regionale, il buon lavoro, sicuro e stabile costituito di retribuzione giusta, assieme al contrasto del lavoro irregolare. Non servono slogan, bensì investimenti, maggiore produttività, formazione, politiche attive del lavoro efficaci, buone relazioni sindacali, contrattazione ai diversi livelli e partecipazione vera, così come stiamo sostenendo con la nostra proposta di legge popolare sulla partecipazione per consentire ai lavoratori di partecipare attivamente alle dinamiche aziendali, dove è anche prevista una ridistribuzione di una quota degli utili delle imprese per sostenere i salari. Nel contempo – ha proseguito Castellucci – occorre rinnovare tutti i contratti di lavoro scaduti; precisando che la Cisl non è mai stata contro il salario minimo, se non quello stabilito per legge. Per la Cisl il salario minimo deve essere collocato nell’ambito della contrattazione. Il punto di partenza è sviluppare, innovare responsabilmente le relazioni sindacali, ricordando che in Italia i lavoratori tutelati da un contratto collettivo nazionale sono oltre il 96% del totale. Bisogna stabilire come riferimento i contratti diffusi in maggior misura, sottoscritti dai tre sindacati confederali, ed estenderli settore per settore». 
Secondo il neoeletto segretario di Uil Puglia, Gianni Ricci, il tema dei salari rappresenta «un’emergenza concreta. È un dato di fatto che nella nostra regione un lavoratore su tre, nel settore privato, guadagna meno di 9 euro l’ora, nella stragrande maggioranza dei casi con contratti a termine e precari. Assistiamo da mesi a una politica intenta ad avvitarsi in una discussione accesa, ma nei fatti sterile, rispetto al salario minimo, che peraltro non fornisce soluzioni credibili al vero problema, ovvero le retribuzioni troppo basse, inadeguate a fronteggiare l’inflazione, che stanno di fatto creando una platea sempre più ampia di lavoratori poveri. Per quanto ci riguarda la nostra posizione è netta: non siamo contrari al salario minimo, ma in Italia esiste lo strumento del contratto nazionale e quello deve essere il baluardo sul quale fondare una politica salariale giusta, che non perda di vista i diritti fondamentali dei lavoratori. Se il salario minimo coincidesse con il minimo salariale previsto dai contratti nazionali – ha aggiunto Ricci – probabilmente avremmo una linea più definita ed un punto di partenza più efficace per risolvere la questione salariale in Puglia e in generale nel nostro Paese. Ciò a patto, però, che i contratti nazionali di riferimento siano quelli sottoscritti dai sindacati più rappresentativi a seguito di un processo di negoziazione con gli stessi».

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