In Puglia i soldi dell'Irpef non bastano per coprire i costi della sanità

In Puglia i soldi dell'Irpef non bastano per coprire i costi della sanità
di Giuseppe ANDRIANI
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Giovedì 16 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 07:29

Se il gettito fiscale restasse alle Regioni (anche solo per una quota) la Puglia non riuscirebbe neppure a coprire il proprio fabbisogno di spesa sanitaria. L’analisi emerge dall’ultimo rapporto di Itinerari Previdenziali ("La Regionalizzazione del Sistema Previdenziale italiano. Entrate contributive e fiscali, spesa pubblica per welfare e tassi di copertura dal 1980 al 2021"): il divario tra Nord e Sud anziché diminuire negli anni è aumentato. 

I dati


I dati fondamentali sono due: i contributi previdenziali che arrivano dai pugliesi (che siano a Inps o enti diversi) non bastano neppure a coprire le pensioni. E d’altro canto le entrate legate a Irpef e Irap, cioè per mantenere in piedi il sistema di welfare, non coprono invece le uscite per la spesa sanitaria. In Puglia per 100 euro che ne vengono spesi per previdenza, sanità e sistema del welfare ne entrano nelle casse dello Stato appena 62. Il numero è più basso soltanto in Sicilia e in Calabria. E il gap con il Nord è importante: in Lombardia, ad esempio, per 100 euro di spesa ve ne sarebbero 125 legati alle entrate. Il problema riguarda in maniera diffusa tutto il Mezzogiorno. E con l’Autonomia alle porte – almeno nel disegno politico della maggioranza di governo – probabilmente vale la pena porsi il problema. Una prima ipotesi di ripartizione fiscale degli introiti prevederebbe che le Regioni che aderiscono all’Autonomia differenziata (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) non versino allo stato il 90% dell’Irpef, per trattenerlo. Ma se questo dovesse accadere per tutti, il Sud numeri alla mano andrebbe in default. Anche perché i soli contributi Irpef versati dai cittadini lombardi valgono decisamente di più di quelli che vengono invece pagati da pugliesi, campani, calabresi e siciliani. 
Nel report di Itinerari previdenziali si legge che «il Nord produce un attivo di 23,73 miliardi (27,17 miliardi nel 2014), il Centro di 5,26 miliardi (3,75 nel 2014) e il Sud ne assorbe ben 47,4 miliardi (erano 36,35 nel 2014), cioè l’intero attivo di Nord e Centro più il 60% di tutta l’Ires (circa 18 miliardi)». I dati sono riferiti al cosiddetto “bilancio regionalizzato del welfare” (e cioè un bilancio tra entrate contributive, Irpef, Irap e le uscite previdenziali, la spesa sanitaria e quella assistenziale) per il 2021. «Questa situazione – vale a dire lo squilibrio tra Sud e Nord - è pressoché stabile per l’intero periodo di osservazione e probabilmente fin dagli anni Sessanta; ci si chiede fino a quando sarà sostenibile visto che i surplus delle regioni del Nord si riducono più rapidamente di quanto il Sud riesca a migliorare la propria situazione. Questa è, più o meno, l’osservazione fatta nel Primo Rapporto sulla regionalizzazione del 2002 e così siamo oggi». Lo studio sottolinea come nei fatti la situazione in quasi vent’anni non sia cambiata.

Le regioni più ricche non hanno fatto da traino al resto del Paese e quindi al Sud. «Infine c’è da considerare – avverte Itinerari Previdenziali - che i trasferimenti dall’Europa per le zone svantaggiate hanno riguardato molto meno le nostre regioni meridionali negli ultimi sette anni e probabilmente ancor meno nei prossimi anni. Il che, tenuto conto che nei prossimi anni dovremmo ridurre il deficit di bilancio che alimenta un debito pubblico enorme e insostenibile nel probabile caso di aumento dei tassi di interesse sul debito, impone una drastica presa di coscienza soprattutto da parte della classe politica sempre a caccia di consensi promettendo l’impossibile».

L'analisi


I motivi del divario evidenziato nel report sono da ricercare nei gap territoriali tra le retribuzioni. In sostanza: un Sud più povero riesce sempre meno a pagare le pensioni. Senza contare le differenze tra le regioni del Nord e quelle del Sud nel numero degli occupati attivi. Più stipendi vuol dire più entrate previdenziali. «Il saldo tra entrate e uscite per il 2021 – dal rapporto - presenta un disavanzo complessivo del settore privato Inps di 33,96 miliardi, inferiore al 2015 quando era di 42,124 miliardi. Il Sud assorbe il 52,06% dell’intero deficit annuale per 17,68 miliardi (assorbiva il 49,89% nel 2015 con un disavanzo di 21 miliardi); il Centro produce il 18,45% del deficit (18,86% nel 2015 con 7,9 miliardi) e il Nord produce il 29,49% del deficit (31,25% e 13,16 miliardi nel 2015). Si evidenzia un miglioramento del Nord, una stabilità del Centro e un peggioramento al Sud, il che aumenta i differenziali regionali. Nella Regionalizzazione che abbiamo realizzato nel 2003 evidenziavamo che il Sud in quell’anno produceva il 60% del disavanzo contro il 14% del Centro e il 26% del Nord; nei successivi 12 anni, nel 2015, la percentuale di deficit era scesa appena sotto il 50% ma negli ultimi 6 anni è peggiorata attestandosi al 52,1%. Il Trentino, come detto, è l’unica regione con un attivo di bilancio (+ 80 milioni). Le regioni che presentano deficit pesanti sono Piemonte, Sicilia, Puglia, Campania, Toscana, Calabria e Liguria». 
Non stupisce anche dal punto di vista contributivo la Puglia sia tra le regioni “maglia nera”. Si è più volte ricordato su queste colonne come nel tacco d’Italia – ma il discorso si può estendere all’intero Mezzogiorno – ormai da qualche anno vi siano più pensioni che stipendi. Il sistema, quindi, entra in crisi di per sé. A tutto ciò va aggiunta la piaga del lavoro sommerso o non regolare. E anche qui il Sud è indietro: si stima in Puglia un evasione di imposte per 5.764 milioni di euro. Di fatto per 100 euro che vengono incassati dallo stato, 19,2 vengono evasi. 
Il rapporto di Itinerari Previdenziali spiega come in caso di regionalizzazione delle imposte il Sud resterebbe indietro. E come il sistema, nel Mezzogiorno, crollerebbe. 

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