«Ora necessaria una “maggioranza Ursula”. Ridefiniamo il Recovery plan dopo l'allarme di Gentiloni»: parla il senatore Stefàno

«Ora necessaria una “maggioranza Ursula”. Ridefiniamo il Recovery plan dopo l'allarme di Gentiloni»: parla il senatore Stefàno
di Francesco G.GIOFFREDI
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Sabato 23 Gennaio 2021, 08:58 - Ultimo aggiornamento: 11:31

Dario Stefàno, senatore Pd e presidente della Commissione Politiche dell'Unione europea, dal commissario Gentiloni arriva l'avvertimento all'Italia sul Recovery plan: occorrono più dettagli su tempi, obiettivi e progetti. Siamo in ritardo?
«È da tempo che avverto questo rischio e ora la crisi politica certamente non aiuta, tanto più davanti agli alert di Gentiloni sulle carenze nella parte fondamentale, quella sulle riforme necessarie e sugli obiettivi posti dall'Ue. È chiaro che a questo punto il Parlamento dovrà assumersi l'onere di un'attenta ridefinizione del piano. I tempi ci sono, considerato che l'8 febbraio dovrebbe essere approvato il Regolamento sul Recovery dal Consiglio Ue ed entro aprile dovremo consegnare il piano definitivo. Non serve essere i primi in assoluto a scapito della qualità».
La crisi politica complica le cose: ritiene che l'instabilità governativa possa frenare ulteriormente, più di quanto non sia già successo, la definitiva stesura dettagliata del Piano italiano? Anche il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, ha espresso perplessità.
«Il Recovery è un'eccezionale occasione di rilancio. La posta in gioco è altissima: spero nel senso di responsabilità dei partiti, non facciamo scherzi. Si scarichino altrove i conflitti di questa lunga crisi latente. Fare il contrario sarebbe pericolosissimo per il Paese».
C'è anche il rischio di accordi spartitori sulle risorse del Recovery, per cercare di allargare la maggioranza.
«Sarebbe una logica imperdonabile. Il Pd sta esercitando una funzione centrale di responsabilità per impedire che ciò avvenga. E mi fido del ministro Amendola: ci stiamo prodigando per scrivere insieme il futuro della prossima generazione, che deve quindi guardare ben oltre il particulare».
Di sicuro è concreta la possibilità di ritrovarsi con una maggioranza raccogliticcia, poco omogenea, in preda a ricatti di piccolo cabotaggio.
«Il rischio c'è. Ma per superare questo impasse dovremmo prima di tutto recuperare la capacità di osservare con obiettività l'attuale compagine parlamentare: in Parlamento c'è una chiara maggioranza che si compone dei gruppi che hanno eletto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. È da queste forze politiche che è doveroso aspettarsi, in questa impegnativa curva della nostra storia, uno scatto di responsabilità maggiore rispetto ad altri».
Insomma: apre a un governo con M5s, Italia viva e Forza Italia.
«Dico solo che occorre un gesto di responsabilità. Quelle stesse forze che hanno lanciato precisi segnali in Europa, potrebbero fare altrettanto in Italia, in una fase di grave crisi».
Le contestazioni nel merito di Italia viva sul Recovery, e non solo, erano fondate?
«Pd ed Italia Viva sul Recovery hanno mosso dall'inizio rilievi simili, che sono stati già in parte corretti, tanto che ad oggi l'ammontare degli investimenti è cambiato. Le risorse destinate alla sanità, ad esempio, sono passate da 8 a 20 miliardi. Sappiamo bene che gli interventi di cui avrebbe bisogno la nostra sanità sono tali che questa somma forse ancora non basta. Per questo sarebbe stato utile attivare da subito il Mes, su cui però, come è noto, c'è un ostacolo politico. È stato poi messo in discussione il tema della governance del Piano, una critica fondata, rispetto alla quale va ancora cercata la soluzione. Così come per gli investimenti, che devono essere l'asse portante del Recovery, rispetto a sussidi e agevolazioni a cui la prima bozza aveva destinato somme consistenti. Va riconosciuto che si sono fatti passi in avanti, ma rimane ancora tanto da fare. L'ultima stesura è certamente migliore di quella di prima, ma non ancora la migliore possibile. Ma questo non giustifica lo strappo incomprensibile di Renzi».
Adesso come andrebbe messa in sicurezza la maggioranza? Con una terza gamba di volenterosi? O ritiene ci sia lo spazio per recuperare l'alleanza con i renziani, magari con un diverso premier?
«Il presidente Conte è alle prese con una soluzione complicata da costruire, è difficile prevedere scenari. Questo, però, è davvero il momento della responsabilità da parte di tutti perché se da un lato vanno giustamente evitate maggioranze deboli, dall'altro va scongiurata l'ipotesi delle elezioni anticipate, per senso di responsabilità rispetto alla crisi pandemica ed economica e perché segnerebbe la Caporetto del Recovery plan».
Nelle comunicazioni al Parlamento, Conte ha parlato - in merito al Recovery plan - del «50% delle risorse destinato al Sud». Tuttavia, non c'è alcun riscontro in tal senso. L'unico riferimento certo è alla clausola del 34%, ritenuta però da più parti insufficiente. Il Sud perderà anche il treno del Recovery senza ridurre il gap?
«Non abbiamo riscontro del 50% delle risorse per il Sud, e non vi è nemmeno alcuna garanzia sul rispetto della clausola del 34%. Grazie anche al lavoro sulle Linee guida fatto dalla Commissione che presiedo, avevamo già posto questo fermo paletto, mediando tra l'altro con la posizione più rigorosa, sostenuta da alcuni senatori e governatori del Mezzogiorno, che voleva destinare al Sud oltre il 60%. Questo perché i criteri europei di distribuzione delle risorse tra gli Stati hanno permesso di destinare all'Italia ben 209 miliardi di euro proprio perché le regioni meridionali sono in grave sofferenza. Il tema è dunque verificare che i progetti garantiscano il rispetto di questa clausola. Altro discorso, è quello dei fondi strutturali e del fondo sviluppo e coesione: canali di finanziamento distinti che già prevedono una destinazione privilegiata al Sud ma che non devono essere confusi con il Recovery Fund. Su questo saremo molto attenti».
L'accusa: il Recovery plan è un piano spot, con pochi interventi realmente strutturali. Soprattutto per il Sud, il rischio è di ritrovarsi con risorse non appostate su interventi effettivamente strategici.
«Anche su questo punto, nella risoluzione approvata ad ottobre il Senato ha posto il tema degli investimenti strategici al rilancio del Mezzogiorno.

Personalmente avevo insistito con particolare incisività sull'Alta velocità ferroviaria per la dorsale adriatica e tirrenica. In questo modo, anche il rilancio dei porti meridionali avrebbe avuto una corsia privilegiata per il transito delle merci, così come la funzionalità stessa delle Zes».

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