Ex Ilva, nell’indotto l’incubo licenziamenti: «320 milioni sono pochi»

Ex Ilva, nell’indotto l’incubo licenziamenti: «320 milioni sono pochi»
Ex Ilva, nell’indotto l’incubo licenziamenti: «320 milioni sono pochi»
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Mercoledì 31 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 07:10

Dopo la cassa integrazione, nell’indotto dell’ex Ilva di Taranto potrebbero esserci i licenziamenti collettivi. È un’ipotesi al momento, ma le imprese cominciano a vagliarla. Intanto si accelera sull’ispezione degli impianti di Acciaierie d’Italia, chiesta dalla proprietà, cioè da Ilva in amministrazione straordinaria, per rendersi conto delle condizioni del siderurgico. Dopo la lettera inviata ad Acciaierie dai commissari dell’as e rimasta senza risposta per alcuni giorni anche se si chiedevano notizie entro venerdì scorso, le parti si sono parlate ed ora l’ispezione comincia venerdì. La verifica degli impianti marcerà in parallelo con altre due questioni: la risposta che Acciaierie deve dare a Invitalia sull’amministrazione straordinaria entro il 6 febbraio - i giorni sono stati ricalcolati per un tema tecnico legato al nuovo decreto legge - e l’esame in commissione Industria del Senato dello stesso decreto.

Le audizioni


Ieri, intorno alle 13, via alle audizioni da parte dei senatori, protagonisti le associazioni delle imprese, i sindacati, i commissari dell’amministrazione straordinaria di Ilva, le istituzioni locali.

Le prime audizioni hanno tutte posto la necessità di cambiare il dl del 18 gennaio. E il cambiamento sollecitato si declina, a seconda degli interessi rappresentati, in diverse richieste, dalla tutela dei crediti dell’indotto alle risorse da mettere in campo, dalla continuità aziendale, che deve essere soprattutto produttiva, al rafforzamento economico della cassa integrazione. Confindustria Taranto e Aigi, l’associazione delle imprese, richiamano soprattutto i crediti dell’indotto e come difenderli da questa seconda amministrazione straordinaria dopo la prima del 2015. Partiamo dalle cifre. Le ha portate aggiornate al Senato proprio Aigi e il quadro vede crediti complessivi per 128 milioni con Acciaierie e per 19 milioni ceduti a Banca Ifis. Che fare, ora, rispetto a questa montagna di soldi? «La situazione è insostenibile - dichiara Fabio Greco, presidente di Aigi - e entrare ora in un’altra amministrazione straordinaria significa avere il default delle imprese. La prededuzione? Può sembrare la soluzione, ma Acciaierie non ha asset, essendo in fitto. L’aumento della garanzia? Ma le imprese non sono bancabili, ecco perché allora si ricorse a Banca Ifis. Se quindi l’amministrazione straordinaria fosse l’unica possibilità, i 320 milioni del decreto siano immediatamente versati all’indotto, che é l’unico che domattina riprenderebbe il lavoro. Se invece non ci fosse l’amministrazione straordinaria, si faccia la cessione dei crediti presso una entità pubblica: Cdp, Sace, Mediocredito, Banca del Mezzogiorno, ex Popolare di Bari. Rispetto al 2015, vorremmo avere almeno i 30 milioni di Iva anticipata. Se uniamo questi alla cessione dei crediti, potremmo respirare». 

Confindustria


«A Taranto si rischia una bomba sociale a Taranto - avverte Salvatore Toma, presidente di Confindustria -. La città non può permettersi né che lo stabilimento chiuda, né che i crediti, enormi, non siano ristorati, perché tante aziende salterebbero. Quindi nel caso dell’amministrazione straordinaria, o poco prima, proponiamo che nel decreto vi sia la possibilità di cartolarizzare i crediti, poiché con l’amministrazione straordinaria diviene problematico ottenere il saldo delle fatture». Inoltre, dice Toma, «come Confindustria diamo disponibilità a vedere come intervenire per dare continuità allo stabilimento e per il cambio del management. Stato in maggioranza nella società? Già detto a novembre 2022 e ribadito a gennaio 2023, quando i crediti dell’indotto erano largamente inferiori». Il quadro di una fabbrica alla deriva viene descritto da Rocco Palombella della Uilm. «L’ultimo decreto - afferma - pensiamo che sia il più importante, ma ora abbiamo un’emergenza che si chiama mancanza di risorse senza le quali non c’è continuità di produzione. Va poi garantito il credito a tutto l’indotto». Palombella si dice poi contrario alla cassa, che è in corso dal 2019, ma tuttavia chiede che essa, prevista già per tutto il 2024, sia integrata da altre due misure: la possibilità che sia gestita negli stabilimenti, mentre ora verrebbe applicata unilateralmente dall’ex Ilva e senza alcun confronto sindacale, e la corresponsione di un’integrazione economica. Il modello richiamato è quello che vige per i cassintegrati di Ilva in amministrazione straordinaria, che prendono il 10 per cento in più, in modo che i diretti di Acciaierie non siano penalizzati. In questo modo la cassa coprirebbe il 70 per cento della retribuzione. Michele De Palma della Fiom Cgil osserva che non basta citare nel decreto la continuità aziendale perché non garantisce anche quella produttiva. Va quindi specificato quest’aspetto ma, evidenzia De Palma, «poiché a oggi non si possono quantificare le risorse necessarie a rimettere in moto la fabbrica, stabilire un limite massimo di 320 milioni significa non avere nemmeno le premesse per gli appalti, il lavoro delle imprese e gli approvvigionamenti delle materie prime».


Servono quindi più risorse, chiede la Fiom, mentre l’Usb, con Franco Rizzo, torna sul tema lavoro e sottolinea che «si rischiano 400 posti di lavoro tra contratti a termine già scaduti e quelli che scadranno oggi». Altri aspetti vengono poi richiamati da Giorgio Graziani, della Cisl nazionale, e dall’Ugl, mentre i commissari di Ilva, Lupo, Danovi e Lupo, evidenziano come il nuovo decreto permetta di accelerare la chiusura di tre procedure dell’attuale amministrazione straordinaria, rimettendo in bonis altrettante società: Ilva Servizi Marittimi, Taranto Energia e la francese Tillet. Ma quale sarà il futuro dell’ex Ilva, siete favorevoli ancora al carbone o volete la riconversione, chiede il senatore M5s Mario Turco. Confindustria con Toma si schiera per la decarbonizzazione. Sì, la vogliamo anche noi, aggiunge Palombella della Uilm, che ha un breve scambio polemico con Turco, ma dobbiamo passare gradualmente dagli altiforni ai forni elettrici (3 per Taranto chiede la Uilm), altrimenti “spegniamo i primi e non abbiamo i secondi”.

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