Comunali, centrosinistra: il grande caos di Bari e Lecce

Comunali, centrosinistra: il grande caos di Bari e Lecce
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 3 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 4 Settembre, 12:09

In politica la tempestività è molto (se non tutto), e finire fuori giri e fuori tempo con le strategie elettorali è un errore imperdonabile. Ancora di più se succede da una posizione di governo, e perciò di vantaggio. A Bari e Lecce sta andando in scena una specie di capolavoro d’autolesionismo in vista delle Comunali 2024, protagonisti – ancora una volta – il centrosinistra e il Pd. Come se l’antica propensione al caos, alle guerre interne, alle divisioni laceranti, all’etichetta di “sinistrati” fosse un impulso incontrollabile, ben oltre i successi di questi anni. Stavolta, in Puglia, s’aggiungono poi tre ingredienti esplosivi. Il primo: il fisiologico senso di logoramento, stanchezza, consunzione che, dopo un lungo ciclo di governo regionale e dei territori, sta corrodendo gli equilibri di una coalizione retta finora da leadership energiche, a tratti muscolari, e da un delicato gioco di pesi, contrappesi e compensazioni. 
Il secondo ingrediente: Michele Emiliano e Antonio Decaro per una volta vagano senza bussola, senza un orizzonte personale ben tracciato, sballottati tra Europee, Regionali, mandati supplementari e poi Politiche, con tutto il carico di scorie e sgambetti sotterranei tra i due. 
Il terzo ingrediente: lo spauracchio della destra maggioritaria nel Paese, che anche qui potrebbe sfruttare (se solo volesse e sapesse: altra storia) l’onda lunga della luna di miele tra Giorgia Meloni e gli italiani. Fattori di contesto che però spiegano solo in parte i primi accenni di pasticcio, con vette a tratti un po’ picaresche, delle Comunali baresi e leccesi.

Il quadro e le parole di Schlein

Nel capoluogo il casting per il successore di Decaro ha risvegliato gli “spiriti animali”, in un disordinato carosello di ambizioni fondate o velleitarie, come se tutto fosse (e lo è) anche un pretesto per ridisegnare i rapporti di forza tra Pd, civici, sinistra, quasi un antipasto di big bang. Nel Pd leccese invece è in corso qualcosa di simile a un tacito e imbarazzato referendum sull’uscente Carlo Salvemini, sui cinque anni d’amministrazione e sul feeling tra sindaco e città: comunque vada, questa sorta di “sondaggio di gradimento” non sembra che possa produrre nulla di buono e produttivo, talmente s’è aggrovigliata la matassa.
Pericolo tilt, insomma. E a poco, forse, serve evocare qui e lì le primarie, come se fossero la medicina a tutto, un battesimo purificatore, un bagno di legittimazione popolare che lava via peccati, incrostazioni, debolezze, fratture. Le primarie, ora come ora, sono solo ingegneria politica, una formuletta per misurarsi e definire i rapporti di forza interni. Stop. Adesso s’aggiungono le parole della segretaria Pd Elly Schlein da Torre Suda, venerdì sera alla Festa regionale dell’Unità, che finiscono per essere solo un modo per lanciare la palla in avanti: «Le elezioni comunali a Bari e Lecce? Ascolteremo i territori», la più classica delle affermazioni-melina da tutto e niente che può gettare nella confusione i livelli decisionali locali.

Lecce

 
Il caso più scottante, al momento, è Lecce. Sul piatto c’è la ricandidatura di Salvemini, coalizione larga e dibattito aperto. Il Pd leccese si è infilato in un collo di bottiglia: “sente” un clima di allarmante insoddisfazione in una fetta ampia di città, che probabilmente prescinde pure da una valutazione stringente sull’operato dell’amministrazione, e non sa come uscirne. Con una divaricazione interna ormai plasticamente rappresentata: di qua c’è chi ritiene di poter comunque cinturare e tutelare Salvemini con un “cordone di sanità” tra primarie, rilancio programmatico, sostegno taumaturgico di big nazionali e regionali; di là c’è invece chi guarda oltre e lavora già all’alternativa, tanto da ipotizzare candidature di partito per eventuali primarie o nomi di “salvezza pubblica” qualora tutto dovesse precipitare. Il 6 il Pd riunisce il direttivo cittadino, il 10 si esprimeranno gli iscritti in assemblea, e Salvemini galleggia nel mezzo in un surreale stato di sospensione. Forse chi nel centrosinistra ritiene, pure legittimamente, di dover voltare pagina e pensare a un diverso candidato non ha il pieno coraggio di argomentarlo pubblicamente e di agire di conseguenza. E chi viceversa alza lo scudo a protezione di Salvemini dovrebbe mettere sul piatto argomenti solidi e improntati al realismo, di merito e strategia, e non solo di pancia e retroguardia. Ecco perché questa storia di paradossi può finire comunque male: se il sindaco uscente venisse ricandidato, rischierebbe d’essere in campo con una legittimazione menomata, gravata da ombre e sospetti; e se invece il centrosinistra decidesse di affossarlo, il tempo e lo spazio politico per alternative all’altezza sarebbero davvero ristretti. Di sicuro, le condizioni per una discussione franca, leale e diffusa sull’amministrazione sembrano evaporate quasi del tutto ormai, tra opachi tatticismi, difese e autodifese preconcette e timori di addossarsi le colpe di una sconfitta.
Eppure, la recente esperienza brindisina qualcosa dovrebbe insegnare: il Pd regionale da tempo aveva scelto di mettere da parte l’uscente Riccardo Rossi.

Il divorzio ufficiale è stato però sancito troppo a ridosso delle elezioni, con un duplice risultato: Rossi s’è comunque candidato, appoggiato dalla sua civica; e il Pd cittadino, a sostegno di un nome cinque stelle, s’è prodotto in un goffo esercizio di equilibrismo tra attacco (senza esagerare) a Rossi, spalleggiato fino a poche settimane prima, e difesa (ma non troppo) dei cinque anni di amministrazione. Un disastro incomprensibile e annunciato.

Bari


Non va molto meglio a Bari, dove la posta in palio è altissima e avrà riflessi a tutto tondo. La guerra di successione a Decaro e la caccia al suo prezioso endorsement sono in corso da tempo. Piovono nomi, tra assessori, parlamentari, esponenti della società civile, dal Pd, dai civici di rito Emiliano e dalla sinistra di Michele Laforgia. Una centrifuga senza criterio, per ora, e non una vera discussione pubblica e collettiva sul futuro della città e del centrosinistra. Con la solita valvola di sfogo delle primarie, rifugio sempre lì sullo sfondo. Nel capoluogo più che altrove tuttavia peseranno molto le decisioni dei “grandi giocatori”, cioè lo stesso Decaro ed Emiliano. Dall’accordo, e dalla “qualità” del percorso che condurrà all’intesa tra i due, molto si capirà della prospettiva a tutti i livelli. Intanto le forze alleate del Pd, a cominciare dagli ingombranti civici emilianiani, scalpitano, e i dem rischiano di restare lì, laterali, spinti ai bordi dalla forza centrifuga del disordine. 

Lo scenario


Da Bari a Lecce e fino a Europee e Regionali tutti i fili si tengono tra loro. Ma, in generale, questo deficit di metodo in percorsi e scelte nel centrosinistra è quasi sempre la spia di un vuoto di idee e di uno scenario asfittico, affannato. Un deficit fin qui mascherato dal tocco magico dei leader pugliesi e dal circuito di fedeltà da loro alimentato. Ora qualcosa sembra essersi inceppato, forse anche perché Emiliano e Decaro sono preoccupati perlopiù dai loro destini personali. Tutte le storie, anche le più vincenti e sfolgoranti, hanno un inizio e una fine. Resta ora da capire se questo frangente di caos è per il centrosinistra pugliese solo uno step evolutivo o l’inizio dei titoli di coda.

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