Codogno è nel Lodigiano, il primo paziente Covid venne individuato la sera del 20 febbraio del 2020. Fu evacuato il pronto soccorso e isolato l’ospedale. Il 23 febbraio scatta la zona rossa in città e in altri dieci comuni. Alzano Lombardo è a ottanta chilometri, in provincia di Bergamo. In ospedale da qualche giorno ci sono strane polmoniti e una dottoressa, dopo avere saputo ciò che è successo a Codogno, insiste con i colleghi perché vengano eseguiti i primi due tamponi. «Ma nessuno è stato in Cina» le rispondono. Lei insiste e il giorno dopo arrivano i risultati: due positivi. Il Covid è entrato in ospedale, ma il pronto soccorso viene quasi subito riaperto, anche sulla sanificazione, secondo l’inchiesta della procura di Bergamo, ci sono gravi lacune. Siamo in Valseriana, cuore produttivo, le imprese insistono perché non si prendano provvedimenti simili a quelli di Codogno. Eppure la situazione è fotocopia, anzi i casi aumentano di giorno in giorno, è evidente che c’è circolazione locale. Ma sono ancora i giorni del “Milano non si ferma”, “Bergamo non si ferma”: la Lombardia non vuole fermarsi. Ecco che il 27 e il 28 febbraio, nonostante l’R con zero (una sorta di contachilometri della pandemia) sia al valore altissimo di 2, il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, scrive due mail al premier Giuseppe Conte. Chiede di non modificare le misure di contenimento, dunque di non decretare la zona rossa nella Val Seriana, ad Alzano Lomardo e Nembro, perché non ci sono criticità «relative alla diffusione del contagio». Va tutto bene. Harakiri. No, le aziende non vogliono fermarsi. Eppure gli ospedali sono già in affanno, per i malati di Covid e per il personale contagiato, l’ambulanza dedicata al Covid è impegnata 24 ore su 24, i decessi aumenteranno di otto volte rispetto al normale. Conte non interviene, ma la legge consentiva a Fontana di decretare - come avrebbero fatto quasi tutte le regioni nei mesi seguenti - la zona rossa. Era stato fatto a Codogno, che senso aveva non farlo in provincia di Bergamo? Negli ospedali intanto non si fanno le Tac sui pazienti, non ci sono mascherine, non è stato ordinato un inventario dei ventilatori. Di fatto, nonostante le prime raccomandazioni dell’Oms che risalgano al 5 gennaio e già il 4 febbraio l’allerta fosse più stringente con l’indicazione di applicare i piani di contenimento, neppure si creano delle aree protette riservate ai pazienti sospetti Covid. Il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico rompe gli indugi e fa sapere che è necessaria una zona rossa in Val Seriana.
Indagati Covid, i pm di Bergamo: «Speranza firmò il decreto sulla zona rossa, il premier Conte no»
RITARDI
Neppure di fronte alla posizione perentoria degli scienziati la Lombardia interviene.