Dopo Atalanta-Lecce: i giallorossi più belli di sempre, ora la squadra è un modello

Dopo Atalanta-Lecce: i giallorossi più belli di sempre, ora la squadra è un modello
di Giovanni CAMARDA
4 Minuti di Lettura
Lunedì 20 Febbraio 2023, 10:09 - Ultimo aggiornamento: 12:03

Una premessa è indispensabile, a scanso di equivoci: si fa ancora in tempo a rovinare tutto, c’è un’infinita letteratura di miracoli rasi al suolo nel giro di tre sconfitte consecutive. Meglio essere netti, ad abundantiam, dato per scontato che comunque nessuno pensa di essere già arrivato al traguardo. Tuttavia, il successo di Bergamo è a suo modo un manifesto definitivo, il cerchio che si chiude, la verità che balza agli occhi: questo è il Lecce più forte di sempre. Ed è la consacrazione di Baroni, che finora la serie A l’aveva vista poco e male.

Adesso invece la domina, nel senso che va a giocare in casa della formazione più in forma del campionato (citofonare Lazio) dopo il Napoli, al cospetto di un maestro come Gasperini, e la mette sotto, dal primo minuto, per atteggiamento, organizzazione, gioco.

Una bellezza vera, moderna, concreta. Sesso puro, calcisticamente, diverso per esempio dal burlesque zemaniano che prometteva tanto per mantenere poco. Un perdente di enorme successo, Zeman, che aveva un Lecce di strepitoso talento, purtroppo deturpato da rovinose cadute. Quella squadra andava spesso in vantaggio per poi farsi puntualmente infilare in contropiede.

Bello? Per niente. C’è stata più esaltazione con Mazzone, il primo Cavasin, il Delio Rossi di un girone di ritorno a ritmo da Champions. Anche quelle squadre, come questa, battevano le grandi e le grandissime ma non avevano la stessa prospettiva, non davano la sensazione di consistenza che si avverte adesso, in ogni condizione, chiunque giochi. Ieri mancavano Umtiti, Gonzalez, inizialmente Strefezza, eppure non se n’è accorto nessuno. In questo gruppo chiunque, prodigiosamente, riesce a mostrarsi all’altezza, non una volta, ma sempre. Individualmente e collettivamente: 23 partite di campionato e una sola veramente cannata, quella di Bologna. Un simbolo? Blin: l’anno scorso faceva fatica in B, oggi gioca da veterano in A, per senso tattico, grinta, continuità, tempismo. Ma vale per molti altri, da Gendrey a Gallo, da Di Francesco a Cessay, ovviamente tenendo da parte quelli che hanno già mostrato di valere ambizioni ancora più importanti. Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi presi e valorizzati, ignoti ai più prima di approdare al Via del Mare. L’obiettivo principale era farli crescere e patrimonializzare: fatto. 

Oggi il Lecce è una miniera d’oro e pazienza per chi non ci ha creduto fino in fondo, preferendo abbandonare in un momento di difficoltà. Va invece dato atto a Sticchi Damiani e ai suoi soci-tifosi di aver avuto la forza di portare avanti un programma di altissimo profilo, affidandolo all’unico che potesse realizzarlo, Corvino. Un progetto totale che parte dal settore giovanile, tornato ad essere un investimento e non solo un costo, da sopportare con qualche fastidio. Oggi il Lecce Primavera è primo in classifica, come accadeva vent’anni fa, quando i giallorossi vincevano scudetti e coppe. Una questione di competenza, evidentemente, e di lungimiranza, ma anche un percorso obbligato per una società che voglia costruire qualcosa che resti, che duri a lungo, non avendo sceicchi alle spalle. Da quando il Lecce ha fatto la sua prima apparizione in serie A, si è sempre cercato di individuare un modello da imitare, il Parma piuttosto che l’Udinese, il Sassuolo invece del Chievo o dell’Empoli. C’era sempre qualcuno più bravo da copiare, parlando un po’ a vanvera, senza tener conto di specificità spesso non replicabili. Il fatto nuovo è che oggi i ruoli si sono ribaltati e, sorpresa, il modello per gli altri è diventato il Lecce, un esempio di managerialità, equilibrio gestionale, qualità, crescita tecnica. E con il Lecce sta crescendo e maturando anche tutto l’ambiente: in altri tempi, a quest’ora, si sarebbe cominciato a temere il peggio, la cessione dei big, una volta Vucinic e Bojinov, oggi magari Hjulmand e Baschirotto, per dire. Invece per niente: che una società possa cedere giocatori, dopo averne centuplicato il valore, è inevitabile. Farne arrivare altri con le stesse potenzialità è la vera impresa. A Lecce però sanno come si fa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA