Concessioni balneari: giudizio netto, ora tocca al legislatore

di Pier Luigi PORTALURI
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Mercoledì 10 Novembre 2021, 05:01

Molto netta, la Plenaria del Consiglio di Stato. Si era ipotizzato che avrebbe a sua volta investito la Consulta o la Corte di Giustizia. No. Opzione zero. Lo Spirito, dice il Vangelo, soffia dove vuole. Quello europeista e proconcorrenziale ha soffiato forte nella camera di consiglio di Palazzo Spada. Lasciamo parlare la sentenza, che risponde in modo chiaro ai tre quesiti formulati. 
Primo. «Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica […]- sono in contrasto con il diritto eurounitario […]. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione».
Non solo i giudici, ma anche i funzionari dei Comuni devono in somma ignorare le norme di proroga. Questo era un punto molto dubbio, poiché avrebbe generato in capo alla P.A. un potere-dovere di disapplicazione diffuso: una cosa che, nello stesso tempo, assicura un’applicazione capillare del diritto unionale, ma carica di responsabilità gli apparati amministrativi. Modello insidioso? Il grande Hans Kelsen insegnava che il giudice e l’amministratore pubblico fanno in pratica la stessa cosa: applicano la norma di legge. Se essa viola una legge di rango superiore, entrambi devono ignorarla.

Assai meno dubbio, invece, era il punto di partenza di tutta questa storia italianissima: l’adozione, da parte del nostro legislatore, di continue proroghe delle concessioni palesemente contrarie al diritto europeo. Questo è un aspetto da ribadire subito. Le sentenze dei Giudici amministrativi salentini – il presidente Antonio Pasca con i suoi consiglieri Ettore Manca, Maria Luisa Rotondano e Silvio Giancaspro – hanno preso le mosse proprio da questo loro fermo convincimento, pienamente condiviso dalla Plenaria. La questione si è posta perché in alcuni ambienti imprenditoriali balneari – non in tutti – ci si rifiutava autolesionisticamente di guardare l’ordinamento complessivo, ma ci si soffermava invece solo sulle leggi italiane: come se cioè fossimo fuori dall’Europa.
Veniamo al secondo principio statuito da Palazzo Spada. Che fine fanno le proroghe rilasciate dai Comuni? Risposta: «Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto».
Semplice e consequenziale. Se le leggi italiane di proroga devono essere ignorate dai Comuni, cadono anche gli atti amministrativi che quelle proroghe hanno disposto. Né assume rilevanza che si sia trattato di veri e propri provvedimenti di proroga, o invece di annotazioni e timbri apposti sulle concessioni per prendere asetticamente nota dell’allungamento disposto dalle leggi statali. Non servono a nulla. A scanso di equivoci, la Plenaria chiarisce che neppure la presenza di una sentenza passata in giudicato consentirebbe ai concessionari di continuare nel rapporto.
Ecco il terzo principio, dove il Consiglio di Stato mostra tutta la sua saggezza di Giudice doverosamente sensibile alle ragioni dell’interesse pubblico generale: «Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedura di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.».
Tecnicamente noi accademici definiamo questo un classico caso di «consequenzialismo giurisprudenziale». È un portato virtuoso di un fatto storicamente irreversibile nella civiltà giuridica europea del XX e XXI secolo. Uso qui le parole di un grande giuslavorista tedesco, Franz Gamillscheg: «Il diritto creato dai Giudici appartiene al nostro destino». Con questa sentenza, infatti, il Consiglio di Stato ha sì enunciato importanti principi di diritto. Ma si è anche preoccupato di inserirli adeguatamente nella realtà economico-sociale italiana, ponendosi il problema delle conseguenze destabilizzanti derivanti da una applicazione immediata del diritto europeo. Ha quindi stabilito, nel silenzio del legislatore e sostituendosi a esso, una norma che contiene una data: il 31 dicembre 2023. Dopo, tutte le concessioni e i tentativi di proroga saranno senza effetto.
Ultima chiamata, in somma. E ultima occasione per tornare a ragionare, facendo di quel comparto economico un settore sempre più moderno e trainante.
Serve però che il legislatore interno avvii - e subito - un dialogo costruttivo con gli imprenditori balneari.

Le loro ragioni – anzitutto certezza normativa e adeguato riconoscimento della loro particolare posizione nelle future procedure selettive – non possono assolutamente essere passate in secondo piano. Come sempre, occorre la civiltà della conversazione.

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