"Capri, Hollywood", la cantante israeliana Noa: «Si deve lavorare per la pace. Siamo una grande famiglia, dobbiamo ascoltarci»

La grande artista, 54 anni, in occasione di "Capri, Hollywood", dal 26 dicembre al 2 gennaio sull'isola di Capri, si racconta e parla di guerra, del senso di comunità da riscoprire e del ruolo delle voci femminili: «Le donne esprimono la cultura che protegge la vita»

La cantante Noa
La cantante Noa
di Gloria Satta
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Mercoledì 27 Dicembre 2023, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 06:31

Una vita e una carriera internazionale nel segno della pace, della coesistenza dei popoli, del dialogo tra Paesi e culture.

Nonostante la guerra Noa, la grande cantante israeliana, 54 anni, tre figli e una storia artistica costellata di successi (uno per tutti: Beautiful That Way, brano portante del film premio Oscar La vita è bella di Roberto Benigni), riconoscimenti, il titolo di commendatore al merito della Repubblica italiana, non ha perso le speranze. Continua a battersi, con l’attivismo e con la musica, per promuovere i valori in cui crede: due popoli, due stati e una convivenza pacifica. Da anni presidente onoraria del Festival Capri, Hollywood, Noa è attesa in questi giorni sull’isola campana che fino al 2 gennaio ospiterà la manifestazione. Intanto da Israele, «il mio Paese spezzato», la cantante racconta a MoltoDonna i suoi sentimenti e le sue battaglie. 
Come sta?
«Non bene. Cerco di essere ottimista e continuo a combattere per mantenere il morale alto, ma la situazione nel mio Paese è terribile. Sono preoccupata per il futuro, stiamo affrontando tre guerre contemporaneamente». 
E quali sono?
«La prima, in atto all’interno di Israele da ben prima della strage compiuta da Hamas il 7 ottobre, è tra chi vorrebbe la coesistenza pacifica con i palestinesi e la destra radicale, secolare, militarista che propugna invece il ricorso alle armi. C’è poi la guerra attuale tra Israele e Hamas, una tragedia per il mondo intero. Infine il conflitto che coinvolge l’Iran, i Paesi limitrofi e vede scontrarsi due filosofie opposte: da una parte l’estremismo e il terrore, dall’altra lo stile di vita occidentale rappresentato da America e Europa». 
Cosa le dà la forza di sperare ancora nella pace? 
«La certezza che sia in Israele sia in Palestina la gente voglia vivere e non morire. Ma l’informazione che ci arriva è incompleta, soggettiva, manipolata: è impossibile credere che a Gaza ci sia solo Hamas e tutti gli abitanti, tra cui molti bambini, vogliano ucciderci. Per porre fine a questo incubo dobbiamo liberarci del premier Netanyahu che non vuole la pace. È una maledizione per il nostro Paese». 
Si sente in pericolo in questo momento? 
«Per fortuna abito in un luogo tranquillo anche se le bombe cadono non lontano da casa. Nessuno della mia famiglia è morto o ferito ma Israele è un Paese piccolo in cui tutti siamo collegati: ognuno ha un amico o un parente ucciso, preso in ostaggio o arruolato nell’esercito. Ci si chiede chi sarà il prossimo a morire. E la soluzione appare lontana». 
Com’è possibile trovarla, secondo lei? 
«Dobbiamo ricordarci che siamo una grande famiglia umana e tornare ad ascoltarci, a promuovere il senso di comunità, il dialogo. Viviamo purtroppo in una società dominata dai social, ma Tiktok e le story non ci aiutano a cogliere l’anima degli altri, a capire e condividere il loro dolore. Bisogna andare in profondità». 
E che ruolo hanno le donne nella ricerca della pace?
«Un ruolo decisivo perché esprimono la cultura che protegge la vita. Fosse per me, lascerei le decisioni sulla guerra e sugli ostaggi proprio a delle leader donne che sarebbero più aperte alla comprensione e all’ascolto. Non è vero che la situazione sia irreversibile, c’è spazio per il cambiamento. E la speranza è riposta proprio nelle donne». 
In questo momento sta tenendo concerti?
«Mi esibisco gratuitamente in tutta Israele. Vado dovunque, anche negli ospedali, a promuovere con la mia musica la pace e a manifestare contro Netanyahu. In Europa invece non lavoro: hanno annullato tutti i miei concerti temendo tensioni. L’Italia è l’unico Paese che non ha cancellato le mie date e la ringrazio per questo. Ho progetti per tutto il 2024 e spero di avere la forza di onorarli».
Mantiene sempre un rapporto molto stretto con il nostro Paese? 
«Certo, da voi mi sento tutt’altro che una turista. Negli ultimi 30 anni in Italia ho cantato dappertutto, anche nei paesi più sperduti. Ho tanti amici, da Benigni al maestro Nicola Piovani. Mi ritengo onorata di conoscere il Presidente Mattarella. Ho fondato ad Arona la rassegna L’arca di Noa per promuovere la pace e considero Capri, Hollywood del mio carissimo amico Pascal Vicedomini un grande, importante festival». 
Che ricordo ha del Festival di Sanremo? 
«Ho partecipato diverse volte come ospite. Ricordo con piacere l’edizione 2006 in cui ero invece in concorso e, con Carlo Fava e il Solis String Quartet, cantai il brano Un discorso in generale vincendo il Premio della Critica Mia Martini». 
Lei ha cantato per tre Pontefici, che impressione le ha fatto Papa Francesco? 
«Lo amo molto e spero che, dopo aver incontrato le famiglie degli ostaggi, possa fare ancora di più per il loro rilascio.

Ha una voce molto importante, deve farla sentire forte perché i bambini sequestrati da Hamas possano tornare a casa. Anche la guerra ha le sue regole, e queste escludono il coinvolgimento degli innocenti». 

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