«Non volevo vendetta, volevo giustizia. L'ho avuta e adesso ho anche un'altra vita. Anzi, ho una vita in cui posso finalmente cominciare a guardare avanti». Giada ora ha 30 anni (il nome è di fantasia), si è tagliata i capelli e ne ha cambiato il colore. Parla e sorride. Nell'inverno 2011 stava passando una serata in discoteca a Perugia e aveva accettato il passaggio a casa da un ragazzo che gli era stato presentato poco prima da un amico. Quel viaggio finirà nel buio di un campo, la faccia sbattuta contro il cofano dell'auto fino a romperle naso e mandibola e poi la violenza.
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«Ho pensato che sarei morta lì.
GLI SCIOPERI
Poi è cambiato il collegio giudicante. E anche in quel caso è stato necessario ricominciare. Poi gli scioperi degli avvocati, la corsa contro il tempo perché il processo non finisse in prescrizione. Infine, quando ormai si era in dirittura d'arrivo, in Cassazione, ed in ogni grado era stata confermata la condanna a 7 anni, lo stop dovuto alla pandemia. «Mille volte ho avuto la tentazione di mollare». Non era facile vivere. «Avevo paura, per due anni sono stata chiusa in casa. Erano gli anni in cui mi sarei dovuta iscrivere all'università. Poi ho rifiutato tutti i lavori in cui dovevo stare a contatto con il pubblico: una volta avevo trovato lavoro in un bar, è entrato uno che somigliava a lui e sono caduta a terra. La mia vita per anni è stata a libertà limitata». L'ultimo brutto colpo c'è stato quando l'imputato ha nominato un legale di fama nazionale. «Volevo incatenarmi davanti alla Corte d'Appello, in piazza, davanti al Papa. Ero preoccupatissima, anche perché non avevo più soldi da spendere». Ma non è servito. Il suo stupratore, ora, è in carcere. «Voglio guardare avanti. Voglio dire alle donne che subiscono violenza di denunciare. E non voglio che nessuna soffra mai più come me dentro un'aula di giustizia».