«Il 21enne infermiere? Una persona disturbata, incredibile che nessuno se ne fosse accorto»: l'analisi della magistrata Matone

«Il 21enne infermiere? Una persona disturbata, incredibile che nessuno se ne fosse accorto»: l'analisi della magistrata Matone
di Alessandro CELLINI
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Mercoledì 30 Settembre 2020, 09:04 - Ultimo aggiornamento: 16:32
«Un soggetto fortemente disturbato. Ed è incredibile che nessuno si sia accorto di nulla». È lapidario il giudizio del magistrato Simonetta Matone, sostituto procuratore generale presso la Corte d'Appello di Roma. Anni e anni trascorsi come giudice minorile le permettono di avere però uno sguardo privilegiato su questa vicenda; un occhio clinico, se così si può dire, nel giudicare le dinamiche tra ragazzi. E la conclusione è una sola: impossibile che i problemi di Antonio De Marco siano passati inosservati. Impossibile che nessuno, prima di quel tragico lunedì sera, abbia avuto almeno un minimo sentore che qualcosa, in questo ragazzo, non andasse.

Dottoressa Matone, cosa spinge un ragazzo apparentemente normale, con una famiglia alle spalle, un percorso di studi universitario, una rete di amicizie, a compiere un gesto simile?
«Parliamo di una persona, a mio avviso, con grossissimi problemi comportamentali. Un soggetto fortemente disturbato. E la cosa che più inquieta in questa vicenda è che questi problemi necessariamente devono aver lanciato dei segnali all'esterno. È incredibile che nessuno se ne sia accorto. Dalle prime informazioni sembra si sia trattato di una vendetta non per un torto subito, cosa che avrebbe forse reso il tutto un po' meno incomprensibile, ma a causa della felicità altrui. Forse era geloso della serenità che c'era tra le due vittime. Mi sembra ovvio, a questo punto, che gli avvocati difensori punteranno sul vizio di mente. Ma non dobbiamo dimenticare un altro particolare».

Quale?
«Che c'era un'ideazione precisa, una premeditazione fortissima, come ha detto il procuratore di Lecce Leonardo Leone de Castris. C'era la volontà di eludere le telecamere, di portare con sé un'arma e addirittura le fascette per legarli e torturarli».

Le indagini hanno rivelato dettagli terribili. Come si spiega questa ferocia?
«Difficile da dire, rischierei di fare delle valutazioni senza avere elementi. Non so che vita conducesse, che tipo di famiglia abbia alle spalle. Andrebbe fatta un'indagine a 360 gradi anche sul quadro familiare. Ma una cosa posso dire: non credo mai ai raptus: non è che uno si sveglia una mattina e di punto in bianco progetta un omicidio del genere».

Possono delle normali dinamiche tra persone adulte - affittare una stanza, doverla lasciare, avere a che fare con altre persone, magari più felici - spiegare un omicidio?
«Guardi, lo ha detto lei: sono normali dinamiche, soprattutto tra i giovani. Cambiare casa è una cosa che a quell'età accade costantemente. Non si può pensare che un presunto torto possa aver portato a questo epilogo. Decine di ragazzi ogni giorno affittano un appartamento o una stanza, oppure lo lasciano perché nel frattempo sono sorti dei problemi: questo, fortunatamente, non porta mai a episodi violenti. Non di questo tipo».

Nella sua esperienza professionale ha mai avuto a che fare con casi del genere?
«Ormai non mi occupo più di minori da dodici anni, e adesso sono nel team che segue i casi di criminalità organizzata e criminalità comune. Nel mio ruolo di sostituto procuratore generale mi capitano spesso processi con dinamiche incredibili di stalking, ad esempio, o di vicini di casa che si vendicano. Queste cose sono all'ordine del giorno. Però sono attività persecutorie che vanno avanti a lungo. Niente a che vedere con quello che è successo a Lecce».

I vicini hanno chiamato i soccorsi ma nessuno ha pensato di intervenire. Senza voler colpevolizzare chi ha legittimamente avuto paura, ritiene che sia un segnale preoccupante?
«È pur sempre meglio una chiamata al 113 che l'indifferenza. Anche se questa chiamata dovesse poi rivelarsi un falso allarme. In una circostanza sospetta, meglio una telefonata a vuoto che il nulla. Non necessariamente si deve intervenire in prima persona, ma bisognerebbe insegnare sempre alla gente a chiamare i soccorsi».
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