Leonardo Leone de Castris saluta la Procura di Lecce e va a Bari: «La toga è moderazione»

Leonardo Leone de Castris saluta la Procura di Lecce e va a Bari: «La toga è moderazione»
di Roberta GRASSI
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Venerdì 19 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 14:17

Sette anni fa il discorso di insediamento, ieri il “bilancio” di fine incarico: «Sono soddisfatto, un po’ ci siamo riusciti. I processi di criminalità organizzata sono stati tanti, con una buona statistica di condanne in rapporto agli esercizi dell’azione penale. Sul piano della corruzione, i risultati sono stati davvero importanti».

Leonardo Leone de Castris, da lunedì procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bari, ha salutato colleghi e personale ieri mattina nell’aula magna della Corte d’Appello di Lecce. Lo ha fatto con un discorso a tratti informale, ma denso di contenuti e di soddisfazione per i rapporti professionali creati, per i rapporti umani che non risentiranno della distanza. L’ormai ex procuratore della Repubblica di Lecce, andrà a ricoprire un incarico prestigioso, senza alcun dubbio. Che lo riporterà, per altro, nella sua città d’origine sebbene il Salento sia ormai la seconda casa da tempo.

E ieri, è stata l’occasione per tirare le somme, schivando ogni forma di autoreferenzialità. Tornando alla corruzione, impossibile non fare cenno alle diverse inchieste sui «colleghi di Bari». E all’amarezza che, inevitabilmente, hanno suscitato nel cuore di chi ha dovuto approfondire comportamenti ritenuti non corretti proprio in seno alla magistratura. «Una vicenda che ancora desta il mio sconforto - ha rivelato il procuratore uscente - ma il fatto che il sistema riesca a guardare al proprio interno e vedere cosa c’è che non va, può infondere fiducia nel cittadino. Dimostra che esiste un potere di controllo che funziona, per questo ci siamo impegnati tanto anche su questo fronte». 
Altro tema molto caro al numero uno dei magistrati requirenti salentini (con competenza distrettuale, essendo anche a capo della Dda), è stato l’ambiente. Un settore su cui si è puntato molto negli ultimi anni: «C’è stata molta attenzione - ha detto Leone de Castris - sull’assedio alle coste che si è verificato in questi anni nel Salento. Credo che la nuova dirigenza continuerà in questa direzione». L’ufficio sarà retto dal procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi che dovrà fare fronte anche alla temporanea assenza della collega pari grado, Elsa Valeria Mignone, il cui incarico è cessato a dicembre e che andrà in pensione ad aprile per il raggiungimento dei limiti di età. 
Tornando a Leone de Castris, sono stati ribaditi più volte i ringraziamenti alla polizia giudiziaria, con cui la collaborazione è stata massima ed estremamente proficua: «Mi mancherà l’adrenalina delle indagini», ha confessato. E poi i buoni rapporti con l’avvocatura, con i colleghi anche destinati ad altra funzione, pur senza mai inficiare il supremo concetto di indipendenza tutelato, a parere di Leone de Castris anche senza dover ricorrere alla separazione delle carriere.

Un cenno ai reati di genere, «vero flagello di questi giorni». E infine, anche un’analisi più generale del ruolo del magistrato. Profilo basso: è stato chiaro sin da subito come Leone de Castris intendesse impostare il proprio lavoro. Pochi interventi sui giornali, bando alla sovraesposizione. Perché netta è la differenza tra il funzionario dello Stato, il vincitore di concorso, e le altre importanti componenti del sistema democratico. 
Focus, poi, sui rapporti con la componente politica: «In democrazie avanzate, anche molto vicine a noi, con l’incedere di una idea populistica della divisione dei poteri, sempre più ci si convince che la maggioranza che vince le elezioni sia affrancata dal controllo della giurisdizione sugli atti o sulle leggi.

Questa è una china pericolosissima a cui noi cittadini ci dobbiamo opporre. Dobbiamo capire che questo è un vero attacco alla Costituzione e alla divisione dei poteri. Quello che noi possiamo fare, come categoria, è far passare chiaramente il messaggio che l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non sono affatto un privilegio della categoria. Ci pongono al servizio del cittadino».

Professionalità e impegno

Una rivendicazione da non “urlare” per trasformarla in un conflitto permanente con gli altri poteri dello Stato: «Noi questo concetto dobbiamo esprimerlo con la nostra professionalità e con il nostro impegno». Con l’esercizio del potere all’insegna della misura, declinato necessariamente come «ricerca della solitudine». «Quando un imputato, un attore, un convenuto, un ricorrente, un attore entrano in un’aula di giustizia devono avere non la percezione, ma la certezza, di avere di fronte un giudice indipendente non condizionato da un pregiudizio ideologico. Per avere questa consapevolezza è importante che i nostri comportamenti, quelli privati, siano improntati alla moderazione. Capisco sia un costo, ma noi facciamo un lavoro diverso. Io, magistrato, non posso pubblicare sui social un insulto a un capo di governo o al leader di un partito che non mi piace. Se lo faccio, provoco un vulnus nella giurisdizione e nella nostra autonomia e indipendenza». Da qui la considerazione finale sul concetto di “interpretazione” della legge e sulle facoltà concesse al magistrato: «Come si farebbe a valutare la sussistenza del reato di associazione mafiosa, senza ragionare sull’omertà e sull’intimidazione? Cosa è la minaccia nel reato di estorsione? Cosa la reputazione nel reato di diffamazione? Diventa essenziale che ci sia qualcuno a farlo. E questo qualcuno non può che essere il giudice, sulla base della propria formazione culturale». Insomma: «È un mestiere difficile, ma ce la faremo». 
 

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