Uccise il figlioletto di due anni e otto mesi, confermati i 30 anni in Appello

Uccise il figlioletto di due anni e otto mesi, confermati i 30 anni in Appello
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Mercoledì 18 Maggio 2016, 18:05 - Ultimo aggiornamento: 18:11

Era lucido e consapevole quando, invece di portarlo al mare, ammazzò il figlio di due anni ed otto mesi. Gianpiero Mele, 31 anni, di Taurisano, è stato ritenuto colpevole di omicidio volontario del piccolo Stefano dalla sentenza emessa questo pomeriggio dai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Taranto (presidente Rossella Sinisi).
Il processo di oggi era stato disposto dalla Corte di Cassazione che due anni fa aveva ritenuto che la pena dovesse essere nuovamente determinata considerando  la sussistenza delle attenuanti generiche, nonché delle aggravanti dei futili motivi e della crudeltà.

 

L’“annullamento con rinvio” riguardò soltanto queste circostanze e non altro. Non il merito del processo e tantomeno le responsabilità dell’imputato. Anche perché la Cassazione stabilì definitivamente che fosse capace di intendere e di volere Gianpiero Mele quando il 30 giugno del 2010 condusse Stefano nella casa al mare di Torre San Giovanni e lo ammazzò con modalità che fecero inorridire anche chi, come le forze dell’ordine, il magistrato di turno ed il medico legale, hanno sviluppato un grado di assuefazione alla morte violenta: impiccato con una corda ad una porta e sgozzato con un taglierino. Dal padre. Dalla persona da cui Stefano si aspettava solo attenzioni e premure. Il suo punto di riferimento, insieme alla mamma Angelica Bolognese. Papà Gianpiero in cui aveva quella fiducia senza pregiudizi, pura e sconfinata dei bambini che a quell’età identificano il mondo con la loro famiglia.
Quel giorno gli avrebbe dovuto spalmare la crema protettiva, preparare la merenda e i giochi prima di rimettersi in macchina per raggiungere il mare. Ma si trasformò in un mostro senza pietà, quel padre che pazzo non era, hanno detto i processi. N’è prova anche la sosta alla ferramenta della marina per comprare gli strumenti dello strazio, una circostanza per la quale il pubblico ministero Guglielmo Cataldi ravvisò la premeditazione poi esclusa dal giudice di primo grado. 
Mele era capace di intendere e di volere, secondo le conclusioni dei periti nominati nel processo di primo grado dal giudice per l’udienza preliminare Carlo Cazzella: Domenico Suma ed Antonello Bellone sostennero la “coscienza dell’atto”. La consapelvolezza, cioè. Ed esclusero la follia, le turbe psichiche o altre patologie che avrebbero potuto compromettere il suo comportamento. Gli psichiatri forensi spiegarono l’enormità del comportamento dell’imputato come una reazione al rapporto naufragato con la coniuge: “Non hai voluto salvarla questa famiglia. Hai voluto queste”, scrisse Mele nella lettera lasciata in quella casa in cui tranciò di netto la vita del suo bimbo . Ed aggiunse di non volere quella vita e di volere portare il bambino con sé. “Stefano Bolognese”, e non Stefano Mele, c’era scritto sul manifesto fatto affiggere dalla madre nel primo anniversario della morte del suo bimbo.
Angelica si è costituita parte civile con gli avvocati Alessandro Stomeo e Salvatore Centonze ottenendo una provvisionale di 100mila euro nel primo processo d'Appello, il risarcimento completo dovrà essere stabilito in sede civile ed anche per i nonni Roberto e Rosanna Manisco.
Novanta giorni per le motivazioni della sentenza odierna.
Sicché i processi continuano, ma nessuna sentenza potrà spiegare perché un padre si sia potuto scagliare con tanta violenza sul suo bambino con i capelli biondi, gli occhi grandi e marroni, delicato ed indifeso.

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