Il traffico di droga gestito dalle donne:
chiuse le indagini

Il traffico di droga gestito dalle donne: chiuse le indagini
di Alessandro CELLINI
3 Minuti di Lettura
Giovedì 16 Febbraio 2017, 06:35 - Ultimo aggiornamento: 14:10

La Procura di Lecce chiude le indagini su un presunto gruppo mafioso legato al boss Andrea Leo, e in particolare capeggiato dalle donne della famiglia, che aveva preso le redini dell’organizzazione quando il capo era finito in carcere. Conta infatti 43 persone l’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dal sostituto procuratore Guglielmo Cataldi. L’atto, notificato nelle ultime ore agli avvocati degli indagati, è il preludio alla richiesta di rinvio a giudizio che sarà formulata davanti al giudice. L’indagine, denominata “Federico II” e affidata agli uomini della Direzione investigativa antimafia, offre uno spaccato come pochi degli equilibri criminali della provincia di Lecce, in relazione a una delle attività più remunerative della Sacra corona unita: il traffico di droga. All’epoca finirono in carcere 21 persone, quattordici gli indagati a piede libero. A questi si aggiungono oggi otto nuovi nomi, che fanno lievitare l’elenco degli indagati a 43 individui. Sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. La Procura contesta solo ad alcuni di loro il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Stando alle indagini, con l’arresto del 45enne di Vernole Andrea Leo, detto “Vernel” e a capo dell’omonimo clan, l’attività del gruppo criminale non si sarebbe mai interrotta. Questo grazie alla “promozione” sul campo delle donne del clan. E in particolare di Maria Valeria Ingrosso, 37enne di Merine, compagna di Leo, e di Antonia Gabriella De Dominicis, 54 anni, di Merine, madre della Ingrosso. La prima, in particolare, avrebbe partecipato a pieno titolo «alla vita dell’associazione, concorrendo a gestire in nome e per conto di Leo Andrea il traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché assicurando la trasmissione delle direttive, scritte e orali, necessarie per il funzionamento dell’organizzazione da parte dello stesso Leo all’esterno, durante il periodo di detenzione di quest’ultimo». Non solo, la compagna del boss avrebbe provveduto «ad informare Leo di quanto avveniva all’esterno». La De Dominicis, invece, era organica all’organizzazione criminale «controllando le modalità di spaccio dello stupefacente da parte dei vari associati, gli acquisti e la vendita dello stupefacente da parte di ciascuno di loro e dei clienti dell’organizzazione; provvedeva ai rifornimenti di droga, al pagamento della stessa e al recupero dei crediti; faceva in modo che venissero rispettate le ripartizioni territoriali per lo spaccio da parte dei singoli associati».
Fin qui le accuse della Procura, che ha ricostruito le attività illecite del clan assegnando a ciascuno degli indagati un ruolo ben preciso nella scala gerarchica criminale. Toccherà ora ai legali degli indagati cercare di allontanare dai propri assistiti il sospetto di aver fatto parte di un gruppo dedito al traffico internazionale di droga.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA