Beni confiscati alla Scu: uno su tre è bloccato nell'ingorgo burocratico

Beni confiscati alla Scu: uno su tre è bloccato nell'ingorgo burocratico
di Alessandro CELLINI
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Venerdì 11 Dicembre 2015, 08:50
Uno su tre è bloccato. «In gestione», come dicono i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc). Dispersi, insieme con quelli che sulla carta risultano assegnati ai Comuni ma che di fatto non sono funzionanti, nei mille rivoli della burocrazia: edifici in “stand-by”, affidati agli enti ma mai assegnati alle associazioni che se ne devono occupare, oppure del tutto usciti dalla gestione dell’Agenzia.

Un totale di 122 immobili, in provincia di Lecce, sottratti alla disponibilità della malavita locale e che hanno avuto nel tempo destini diversi. I dati dell’Anbsc risalgono al 2013: gli ultimi dispobili ufficialmente, visto che da mesi il sito Web dell’Agenzia - nella sezione che riguarda i dati e le statistiche - è in fase di aggiornamento. Ma sebbene risalgano a due anni fa, le statistiche restituiscono un’immagine fedele di quella che è la lotta alla mafia nel suo aspetto più importante: ovvero la lotta ai patrimoni mafiosi.

Sono dunque 122 gli immobili confiscati dallo Stato e gestiti dall’Agenzia; 38, invece, le aziende. I primi non se la passano molto bene: 34 risultano in gestione dall’Agenzia nazionale, mentre 71 figurano come «destinati e non consegnati». Questo vuol dire che l’iter burocratico, almeno nella sua parte iniziale, si è concluso e i beni sono stati consegnati ai Comuni. Ma non è facile sapere quanti di questi effettivamente siano operativi. All’Anbsc non lo sanno: è un passaggio che riguarda le amministrazioni locali. Sono 11, invece, quelli che risultano «usciti dalla gestione».

Diversa la situazione delle aziende sottratte ai patrimoni dei boss: su un totale di 28, 18 sono in gestione dall’agenzia, mentre 10 sono ormai fuori dal circuito delle assegnazioni.

«I beni sono tanti», spiega Attilio Chimienti, responsabile regionale del settore Beni confiscati di Libera, associazione che da vent’anni si occupa della lotta alla mafia e che a sua volta coordina una rete di oltre 1.600 piccole associazioni sul territorio. «Sono tanti ma in qualche caso sono mal gestiti. Bisogna fare un passo in avanti: è vero che alcune confische, nel territorio della Puglia e di Lecce in particolare, sono recenti; ma è altrettanto vero che ce ne sono tante che sono di molti anni fa e che l’iter è ancora fermo. Ecco, noi non possiamo perdere così tanto tempo, senza contare ovviamente il tempo che impiega la giustizia per arrivare alla confisca. Serve uno scatto in avanti». Difficile fare un conto esatto degli immobili fermi e di quelli che invece già ospitano attività all’insegna della legalità.

«A Lecce ad esempio, dei tanti immobili assegnati, non tutti vengono utilizzati», sostiene Chimienti. «E questo nonostante in qualche caso i finanziamenti siano già arrivati. Come nel caso di un immobile a Borgo San Nicola». Un caso emblematico, in questo senso, è quello di Masseria Ghermi: tornato finalmente a nuova (e lecita) vita solo di recente, dopo 22 anni di tira e molla, di burocrazia lenta, di passi falsi. Adesso è diventata una casa d’accoglienza per senzatetto. Va detto che gli esempi positivi, pur tra mille ritardi, sono tanti. A Ugento, ad esempio, un immobile di quasi 400 metri quadrati diventerà un centro anti violenza per madri con figli a carico. E a Squinzano, già da diversi anni è attiva una caserma dei carabinieri che sorge in un immobile confiscato alla malavita. I casi in cui la lotta alla mafia si fa concreta e visibile, riuscendo allo stesso tempo a colpire al cuore ciò che di più caro hanno i boss: i propri beni.