Appalto rifiuti: proiettili e pressioni sull'imprenditore. "Così i politici fermavano le denunce"

Appalto rifiuti: proiettili e pressioni sull'imprenditore. "Così i politici fermavano le denunce"
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Sabato 21 Novembre 2015, 13:10 - Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 23:41
Minacce e pressioni. E anche pallottole spedite a casa. Obiettivo: far desistere l’imprenditore Gianluigi Rosafio e la moglie Tiziana Scarlino dal continuare a presentare denunce fornendo ai carabinieri indicazioni ricche di particolari, circostanze, date, luoghi e persone confluiti poi nell’inchiesta sugli appalti dei rifiuti. Quella che contesta all’ex presidente dell’Ato Lecce 2, Silvano Macculi, di aver intascato una tangente da un milione di euro per l’affidamento dei due gare per la gestione della spazzatura.



Minacce non solo verbali. Con un episodio inquietante: tre proiettili recapitati a Rosafio e alla moglie il 4 giugno dell’anno scorso, insieme ad una lettera dai toni inequivocabili e composta con ritagli di giornale: “Infami, finitela. Vi conviene non confermare a Lecce”. La data non è apparsa affatto casuale ai carabinieri del Nucleo investigativo che hanno condotto le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Antonio De Donno e dal sostituto della Direzione distrettuale antimafia, Alessio Coccioli: quel giorno, infatti, negli uffici del comando provinciale dell’Arma, a parlare c’erano quattro persone per confermare alcune delle indicazioni già fornite dai coniugi Rosafio-Scarlino sulla gestione dell’appalto. Indicazioni sul presunto sistema di pagamento per ottenere l’appalto: l’acquisto di orologi a gioielli a Natale del 2009 e del 2010, ad esempio, diventato poi materia delle accuse di concussione contestate a Macculi, ex sindaco di Botrugno e poi assessore provinciale. E ancora un’altra coincidenza: in quei giorni fu pubblicato sui giornali la notizia di un’altra chiusura di indagini che riguardava lo stesso presidente dell’Ato Lecce 2, Fernando Bonocuore (indagato anche in questo procedimento per una tangente di 10mila euro, qualche regalo a Natale e l’affidamento del servizo di sensibilizzazione ad una società ritenuta vicina a lui) ed un’altra persona.



L’altro fronte è quello delle pressioni. Nelle 139 pagine dell’informativa dei carabinieri dell’inchiesta “Rosa Marina” ricorrono spesso i nomi di politici indicati come vicini allo stesso Macculi: personaggi anche noti al corrente della scelta di Rosafio di denunciare e che lo avrebbe contattato, appunto, per fargli cambiare idea. Nella lista di chi avrebbe provato a farlo tornare sui suoi passi, anche un avvocato, un esponente della Sacra corona unita (“la spicci cu sti carabinieri, c’ha ruttu lu c...?”), un carabiniere e alcuni imprenditori.

Nel fascicolo è stato acquisito un elenco scritto con le assunzioni caldeggiate nella Geotec di Rosafio da sindaci del centro e del Basso Salento. Chi due nomi, chi quattro. Un rapporto impostato sul dare, per come lo ha esposto Rosafio agli inquirenti: non solo assunzioni, ma anche cesti natalizi da diverse centinaia di euro. Regali che avrebberro fatto maturare un debito da 5.200 euro per il quale arrivarono poi i decreti di ingiunzione di pagamento.

Un quadro dalle tinte fosche se, ovviamente, dovesse essere poi confermato dal processo. Per ora siamo solo sul fronte dell’accusa con l’elenco dei reati: la concussione contestata a Silvano Macculi, Fernando ed Anna Maria Bonocuore, Giovanni Biasco e Riccardo Bandello, l’estorsione a Valerio Contaldo e Giorgio Rausa, il falso a Fernando Bonocuore, Bandello, Emanuele Borgia e Luana Greco. A difenderli, fra gli altri, gli avvocati Salvatore Corrado, Riccardo Giannuzzi e Raffaele Distante. E con il principale indagato, l’ex presidente Macculi, che ha già replicato: «Le accuse sono solo una vendetta dell’imprenditore già colpito da interdittive antimafia».
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