L'Italia senza sbocco se ignora il Sud

di Adelmo GAETANI
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Martedì 29 Dicembre 2015, 20:32
Nei giorni scorsi “Il Sole 24 Ore” e “Italia Oggi” hanno pubblicato le ormai tradizionali classifiche sulla qualità della vita delle province italiane. Una fotografia attesa con curiosità dall’opinione pubblica, temuta dagli amministratori locali per il gioco di promozione e bocciature che sta alla base della maxi-pagella.
Ad essere obiettivi, si tratta di un gioco non truccato, ma sicuramente dall’esito scontato. Le province del Nord guidano la classifica, seguono quelle del Centro, infine quelle del Sud tra Purgatorio (poche) e Inferno (la maggior parte). Con poche variabile e movimenti che non modificano più di tanto la realtà delle cose.

Un gioco inutile, quindi? No, a patto che da quelle tabelle si ricavino indicazioni in grado di attivare - innanzitutto a livello di Governo centrale e poi di sensibilità diffusa - una drastica inversione di tendenza tanto necessaria quanto indispensabile ad un sistema-Paese che dovrebbe avere l’ambizione di crescere ed essere competitivo nelle sfide del futuro.
Anche quest’anno si è visto bene come, puntualmente, il “Sole” finisce col brillare sul Nord Italia, riscalda un po’ il Centro, mentre allunga sul Mezzogiorno raggi incolori che non rilasciano alcun tepore e tengono al freddo intere regioni e circa un terzo della popolazione italiana.

Economia debole, mancanza di lavoro, inadeguatezza dei servizi, criminalità sono le piaghe del passato e del presente. Una pesante zavorra che impedisce qualsiasi movimento e trascina verso il basso pezzi del Paese che pure abbondano di storia, di cultura, di bellezze naturali e paesaggistiche, di creatività e intraprendenza, di qualità personali di chi ci vive.

La tabella de “Il Sole” ha il merito di mettere a nudo la questione meridionale e i drammi sociali provocati da un’Italia disintegrata, incapace di individuare i punti di aggregazione e di integrazione.

Insomma, un’Italia che sembra sia rassegnata al peggio e poco propensa a reagire a fronte di distorsioni e disuguaglianze sempre più profonde. Come, del resto, ha spiegato Ernesto Galli della Loggia in un editoriale (“Il Governo e il Sud che non c’è”) pubblicato sul “Corriere della Sera” lo stesso giorno in cui veniva reso pubblico il corposo dossier del “Sole”.

Una coincidenza che consente di approfondire una riflessione su quello che l’Italia è e su quello che dovrebbe e/o potrebbe essere. Sui ritardi che il sistema-Paese ha accumulato negli ultimi 20 anni, sulla rottura del patto di solidarietà interna, sull’inadeguatezza delle politiche governative rispetto ad un Mezzogiorno, sempre più visto e vissuto - anche con un certo fastidio - come una questione locale, non di respiro nazionale.

Le debolezze strutturali dell’economia italiana sono state amplificate e cementate dalla lunga crisi che sta desertificando e uccidendo socialmente il Sud. Il Pil italiano è aumentato del 45,2% negli anni Settanta, del 26,9% negli Ottanta, del 17% nei Novanta e del 2,5% nell’ultimo decennio. Una caduta nel baratro dal quale è difficile uscire se il Paese non riprende a muoversi con unità d’intenti e obiettivi comuni. Non è un caso che la brusca frenata dell’economia registrata negli ultimi due decenni sia coincisa con l’abbandono politico e culturale del Mezzogiorno, le cui sorti sono state affidate stancamente, e in modo settoriale e scoordinato, all’erogazione delle risorse comunitarie, molto spesso utilizzate male e in modo clientelare, quasi sempre al di fuori di qualsiasi progettualità.

A di là delle roboanti parole, delle promesse a go-go, ora dei Masterplan, non è stato possibile intravedere negli ultimi decenni uno scorcio di politica per il Mezzogiorno che, peraltro, avrebbe avuto un impatto positivo sull’Italia nel suo insieme. Ed è proprio quello che denuncia Galli della Loggia quando parla di “scatto necessario” e chiede al premier Renzi di non vedere solo Firenze con lo sguardo rivolto a Milano, ma di rendersi conto che non è sostenibile la realtà di un Paese dove il divario economico tra Lombardia e Calabria è maggiore di quello tra Germania e Grecia. Così come non è accettabile che il previsto +0,8 del Pil 2015 in Italia sia la media tra un Nord attestato a oltre +1% e un Sud inchiodato allo zero.

Naturalmente, il problema non è solo quello della disponibilità di risorse, pure imprescindibili, ma dell’elaborazione di un progetto politico nazionale forte che segni l’apertura di una fase nuova sul piano economico e sociale, una volta riconosciuta la necessità e l’urgenza di completare gli interventi di infrastrutturazione materiale e immateriale nelle aree più deficitarie.

Valorizzare la vocazione turistica del Sud, in quanto terra di storia, cultura e bellezze naturali, è cosa buona, ma non può essere - come da alcune parti si sente spesso ripetere - l’unica soluzione, anche perché bisogna fare i conti con l’incidenza della stagionalità. Così come non può essere una risposta esaustiva il semplice ritorno al manifatturiero, comparto reso ormai poco competitivo e remunerativo e, comunque, assediato dalla concorrenza dei Paesi emergenti o già emergenti (basta pensare al ruolo strategico che gioca la Cina), soprattutto quando la qualità di prodotto non fa da argine all’aggressività esterna.

Oggi, si tratta di lanciare una sfida coraggiosa per il Sud e per il Paese, dalla quale orami è impossibile prescindere. E’ una sfida che ha come base l’alta formazione dei giovani e che deve puntare sui processi di innovazione, sulle tecnologie avanzate e sulla creazioni di ecosistemi produttivi capaci di formare, attrarre e/o trattenere risorse umane qualificate. E’ il punto di forza sul quale fare leva e che chiama in causa direttamente le Università meridionali, il loro compito nella società, la loro efficienza, spesso - va detto - non all’altezza delle attese, tanto da spingere moltissimi studenti meridionali ad “emigrare”.

Purtroppo, anche su questo versante il Sud è costretto a pagare un prezzo salato a causa dell’incessante fuga dei cervelli che impoverisce il tessuto sociale e produttivo. Mentre, spetta alle Università del Sud - le quale non devono subire penalizzazioni a causa di criteri di ripartizione dei fondi statali che sembrano concepiti per il Nord - recuperare una visione alta del loro ruolo, lavorare per accrescere il loro prestigio, diventare competitive e attrattive, dopo aver liquidato consolidate abitudini permeate di localismo e nepotismo.

La nuova economia del presente e quella del futuro, come dimostrano i processi e le tendenze in atto negli Usa, concentrano i loro interessi e loro linee di sviluppo proprio sulla formazione, la ricerca, lo sviluppo tecnologico, in sostanza nelle attività ad alto valore aggiunto dalle quali, contrariamente a quanto si possa credere, arrivano risposte positive sul fronte del lavoro (non è un caso che il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti sia intorno al 5%, meno della metà di quello italiano).

È la strada che deve imboccare il Mezzogiorno assieme al resto del Paese. Altrimenti, sarà inevitabile scivolare ancora lungo il piano inclinato sul quale l’Italia è seduta senza avvertire pienamente i rischi di una definitiva retrocessione.
Adelmo Gaetani