Da Bari un progetto per riscoprire il Meridione illuminista

Da Bari un progetto per riscoprire il Meridione illuminista
di Rosario COLUCCIA
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Domenica 21 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Maggio, 23:03

Nel 1754 venne istituita all’università di Napoli (tra le più antiche al mondo, fondata il 15 giugno 1224 dal grande imperatore svevo Federico II) la prima cattedra di economia in Europa, denominata «di meccanica e di commercio». Fu affidata all’illuminista Antonio Genovesi (1713-1769), nato a Castiglione (Salerno), che teneva le sue lezioni in italiano. Per secoli la lingua della comunicazione scientifica era stata il latino, in latino si tenevano le lezioni all’università. A metà del Settecento, la diffusione dell’italiano a base toscana tra i ceti medio-alti della capitale meridionale aveva reso ormai maturo l’uso dell’italiano nell’ambiente accademico. L’illuminismo, che si proponeva di combattere l’ignoranza e l’oscurantismo affidandosi alla forza della ragione, dava forti scossoni anche in campo linguistico. L’impegno degli illuministi a rendere familiari e chiare le conoscenze comportava una lingua scarsamente interessata agli ornamenti stilistici e rivolta invece ai contenuti. La lingua non come abbellimento ma come strumento del pensiero finalizzato a migliorare le condizioni di vita privata e pubblica. 

Genovesi


Figlio di un calzolaio e piccolo imprenditore, Genovesi è il capofila ideale di un gruppo di illuministi meridionali che annovera esponenti di rilievo. Tra questi: Giuseppe Maria Galanti (1743-1806), nato a Santacroce di Morcone, in Molise, educato secondo principi paterni provinciali e retrivi, a nove anni mandato a Napoli, dove ebbe il decisivo incontro con Genovesi, che gli ispirò un amore estremo per le scienze; Francesco Mario Pagano (1748-1799, impiccato per aver difeso anche con le armi la Repubblica napoletana), nato a Brienza, in Lucania, ancora fanciullo trasferitosi per proseguire gli studi a Napoli, dove negli anni della formazione universitaria ebbe modo di frequentare le lezioni di Antonio Genovesi, che lo incoraggiò a coltivare l’inclinazione per le scienze morali; Gaetano Filangieri (1752-1788), nato a Cercola (Napoli), cresciuto in un ambiente impregnato di venature di giansenismo e caratterizzato da una forte carica morale. In quegli anni Genovesi insegnava ai giovani napoletani i principi basilari delle scienze economiche, richiamandoli ad un più attento esame della concreta situazione del Regno, della sua dipendenza commerciale dalle grandi potenze europee, delle vie da seguire per mettersi al passo con i paesi più progrediti. Ne discendeva tra l’altro un giudizio decisamente negativo della funzione dell’aristocrazia meridionale che lo stesso Filangieri, benché nobile, espresse più volte. I nobili apparivano oziosi e annoiati, perdigiorno, orgogliosi di titoli altisonanti e prolissi ma vacui, litigiosi e sostanzialmente chiusi ad ogni riforma volta al progresso collettivo. Sembra il ritratto di alcuni gruppi privilegiati di oggi.
Napoli dunque in primo piano (come spesso nella storia), in questo caso centro fondamentale, insieme a Milano, per la diffusione in Italia delle idee illuministe. In questo contesto fu attiva anche la periferia pugliese del Regno, dalla quale provenivano personaggi tutt’altro che insignificanti. Pietro Giannone (1676-1748), nato a Ischitella (Foggia), piccolo centro del Gargano, laureatosi all’Università di Napoli, autore dell’«Istoria civile del Regno di Napoli», opera scritta con l’intento principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato contro la Curia romana, responsabile di soprusi e sopraffazioni. Questo atteggiamento provocò (naturalmente) la reazione della Curia e diffuse a Napoli un clima ostile al Giannone; al punto che, dopo una delle consuete celebrazioni in Duomo, gli venne imputato persino il mancato scioglimento del sangue di San Gennaro (il santo si sarebbe adirato con i napoletani per la pubblicazione dell’«Istoria civile»). Consapevole di rischiare ormai la vita, Giannone decise di esiliarsi, chiedendo la protezione dell’imperatore Carlo VI. Ma invano. Negli anni seguenti fu arrestato, trattato con durezza (concessa solo qualche ora d’aria al giorno, purché non parlasse con nessuno, ma con il permesso di leggere e scrivere), trattenuto in prigione nonostante la formale abiura ai suoi “errori” prestata di fronte al vicario inquisitoriale nel marzo del 1738.
In sintonia con l’opzione linguistica di Genovesi, scelse per il suo insegnamento del diritto la lingua italiana (non il latino) Tommaso Briganti (1691-1762), nato a Gallipoli, laureatosi in legge a Roma nel 1717. Gallipolino era anche suo figlio Filippo (1724-1804), fortemente coinvolto nelle vicende politiche e amministrative della sua città. Eletto sindaco in un momento particolarmente difficile a causa di continue lotte cittadine e della carestia incombente, con la fame che divorava i luoghi vicini della provincia, riuscì a contrarre tempestivi acquisti di grano e a diminuire la gabella della farina «in vantaggio di tutti gli ordini della città e in effettivo sollievo dei poveri» (come scrisse un biografo), rintuzzando le pretese degli incettatori che venivano da Napoli. Giuseppe Palmieri (1721-1793) nacque a Martignano di Lecce. Trasferitosi a Lecce e poi a Napoli, nella città partenopea divenne uno dei discepoli prediletti di Antonio Genovesi, di cui seguì le lezioni dapprima in forma privata e poi pubblicamente all’università. Dopo un rientro temporaneo in Salento (dovuto a ragioni private) fu richiamato a Napoli per essere nominato nel Supremo consiglio delle finanze del Regno. In un contesto di grande fervore culturale pubblicò le «Riflessioni sulla pubblica felicità relativamente al Regno di Napoli». L’obiettivo della “pubblica felicità” era legato a una migliore distribuzione del reddito e a una più razionale utilizzazione delle risorse, intendimenti che valgono anche per la crisi che oggi crea tanti nuovi poveri, anche se non ne sento parlare in giro. Palmieri inoltre identificava il ruolo primario dell’agricoltura nella diffusione del benessere dei singoli e dell’intera collettività.
Nonostante la straordinaria rilevanza storica e culturale, vi è ancora un relativo vuoto di interesse intorno alle opere, alla prosa e al lessico concettuale degli illuministi meridionali. Molti loro scritti sono ancora scarsamente noti e mal studiati, ancora inediti molti documenti e testimonianze epistolari. Ma qualcosa si muove, opportunamente. Pasquale Guaragnella, già ordinario di Letteratura Italiana e Preside della Facoltà di Lingue dell’Università di Bari, attuale Direttore dell’Accademia di Belle Arti della stessa città, ha dato vita a un progetto intitolato «Illuministi Meridionali», che si propone di far emergere l’importanza di questi nostri conterranei del passato che, con la vita e con le opere, si sono espressi contro ogni forma di oscurantismo culturale e di avversione ai saperi e alle scienze. Ho dato uno sguardo al sito del progetto (https://www.illuministimeridionali.it): vi sono coinvolti studiosi eminenti di varie discipline e di varie università (italiane e straniere), rettori, giornalisti, rappresentanti di Accademie, Enti, Istituti culturali e scientifici, Istituzioni varie. Vi aderiscono anche (senza oneri finanziari, è bene precisarlo) le Amministrazioni di città nelle quali gli Illuministi meridionali sono nati o hanno operato: Ischitella, Vaccarizzo Albanese, San Demetrio Corone, Montalbano Corone, Conversano, Gallipoli, ecc. Mi sono meravigliato di non trovare i nomi di Lecce, di Martignano, della Provincia di Lecce, della Provincia di Foggia, ecc.
C’è tempo per rimediare. Il progetto continua, le adesioni sono aperte.
 

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