L’isolamento, l’autarchia e il totalitarismo che hanno contrassegnato l’Albania dagli anni Quaranta agli Ottanta del secolo scorso non sono mai riusciti a chiudere del tutto piccoli spiragli e varchi di comunicazione, spesso invisibili e clandestini, con l’Italia e l’Occidente, spiragli e varchi che in quegli anni nutrivano sogni segreti e aspirazioni degli albanesi. Sul desiderio dell’Altro da sé, sulla seduzione dell’Occidente, sul fascino di stili di vita provenienti da oltre confine, sullo scambio di merci, persone e valori tra una sponda e l’altra dell’Adriatico si concentra la bellissima e vibrante narrazione di Ardian Vehbiu, “Cose portate dal mare”, per le edizioni BesaMuci.
“L’Occidente – scrive Vehbiu - assumeva per l’albanese medio, i tratti di un paese mitologico dell’abbondanza e del piacere, sia materiale che immateriale… Questo Eden era presente nelle nostre menti e contemporaneamente irraggiungibile”. L’autore dedica molte pagine al modo in cui l’Albania viveva, per riflesso e per contrasto, la stagione postbellica dello sviluppo e della crescita economica nell’Europa occidentale. Più le dittature di Enver Hohxa e Ramiz Alia diventavano totalitarie, tanto più nelle crepe e negli interstizi della società e della morale ufficiale si incuneava la magia seduttrice del consumismo, del liberalismo e dell’edonismo occidentale. Veicoli di diffusione erano le basse frequenze della radio e della televisione, italiana ma non solo, che trasmettevano il Festival di Sanremo, il Cantagiro, Rischiatutto e Canzonissima, le canzoni dei Beatles, Celentano, Raffaella Carrà, il jazz, il rock e soprattutto tanta pubblicità televisiva che offriva a un Paese poverissimo “merci completamente sconosciute, come cibo per gatti e cani, deodoranti per ascelle e per ambienti, ammorbidenti per biancheria, dolcificanti artificiali, preparati dietetici per perdere peso, filtri UV….”.
Ma c’erano anche funzionari pubblici, atleti, autotrasportatori, diplomatici che tornavano dai loro viaggi in Occidente con un ricco bottino di regalini e pensierini fatto di penne a sfera, accendini, caramelle, saponette, occhiali da sole, bottoni e chiodi.
Sono questi stessi tòpoi a innescare desiderio di fuga e libertà. Gli albanesi prendono la strada del mare dapprima con le teste imbiancate e le gambe coperte di catrame e poi su vecchi barconi, superano i fili spinati affrontando i cani di confine disseminati nei valichi di montagna. Oggi quel desiderio di fuga fa tutt’uno con il desiderio di Europa, quella “Europa – conclude Vehbiu - che fino ad oggi non abbiamo mai ingannato con bugie o furbizie levantine, con occhiolini o trucchetti da truffatori, sarà tentata dagli sforzi di un’altra albanesità, che scopra seriamente l’utopia europea dentro di sé, cercando non integrazione dall’esterno, ma dall’interno, culturale e storica, non tanto nello spazio quanto nel tempo”. “Cose portate dal mare” è un viaggio affascinante e appassionato nella memoria e nel presente di un popolo, che ostinatamente insegue i suoi sogni di libertà e benessere.