Francesca Giannone, la Portalettere è il libro (ambientato in Salento) più letto del 2023. L'intervista: «Pronto un nuovo romanzo»

Francesca Giannone, la Portalettere è il libro (ambientato in Salento) più letto del 2023. L'intervista: «Pronto un nuovo romanzo»
di Vincenzo MARUCCIO
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Domenica 31 Dicembre 2023, 10:27 - Ultimo aggiornamento: 1 Gennaio, 21:55

Entri in una libreria e la Portalettere ti guarda dagli scaffali: la conoscono tutti Anna Allavena approdata nel Salento negli anni ‘30 del secolo scorso e destinata a cambiare la piccola, grande storia di un paesino. Fra pochi giorni sarà un anno dall’uscita: oltre 300mila copie vendute, libro italiano più letto del 2023 appena dietro al principe Harry con “Sphare”, la bella postina dagli occhi color ulivo meglio del commissario Schiavone, delle regine del romance o di Maria Cristina protagonista dell’ultimo Niccolò Ammaniti.
Arrivi a Lizzanello, pochi chilometri da Lecce, e ti ritrovi un gruppetto di turisti dopo aver visitato il barocco di Santa Croce e le stradine di Otranto. Cercano il vecchio ufficio postale dove Anna cominciò a lavorare dopo aver vinto il concorso sfidando i pregiudizi e che ora è diventato un bar, la chiesa di San Lorenzo crocevia delle passeggiate, l’ombra del grande leccio dove i tormenti interiori trovarono riparo. Lo svela Francesca Giannone che al suo esordio ha trasformato la storia - vera, verissima - della bisnonna nel romanzo più amato dai lettori tra decine di presentazioni, Premio Bancarella e una fiction in cottura: «Li ho visti quest’estate aggirarsi in paese tra i luoghi di Anna, tutti lettori del libro. Un po’ come cercare la Vigata di Montalbano». Al cimitero c’è anche la lapide, ma lo sanno solo i parenti. Una tomba semplicissima: lei e, sotto, il suo Carlo che aveva seguito per amore lasciando la Liguria dove faceva la maestra. Non mancano i fiori e qualcuno che cambia sempre l’acqua. Anna, da qui, non se n’è mai andata.
 

“La portalettere”, a un anno dall’uscita, è ridiventato strenna natalizia dopo essere stato tradotto in 19 Paesi. Anna è bella e coraggiosa, ma anche dura e spigolosa: non era scontato che una donna così piacesse così tanto. Qual è il segreto? 
«Non ha un carattere facile ma forse è piaciuta proprio perché è così vera. Non è l’eroina classica senza macchia e senza paura, è una donna che ha luci e ombre, come tutti noi. È una donna vera anche quando è scorbutica, diretta e te lo dice chiaramente, ma ha anche tanti pregi come la sua dolcezza verso i personaggi più difficili. I lettori si riconoscono e si immedesimano in lei. Bisogna tenersele strette le donne come Anna».
La prima postina donna del Salento, e forse d’Italia, è anche una sfida, del tutto reale, al maschilismo delle convenzioni del primo Novecento. Ma alla fine lo cambia questo Sud? Lei vince o perde?
«Il paese dell’epoca prende atto che potevano esserci anche portalettere donna ed è un cambiamento epocale. Anche Anna, però, arriva con una serie di pregiudizi, a partire dai gesti di accoglienza che lei interpreta come invadenti e che, invece, è il modo in cui il Sud la abbraccia anche se per molti resterà sempre la “forestiera”. All’inizio due mondi si scontrano ma alla fine si cambiano a vicenda».
Fonda una sorta di Casa delle donne: è una femminista ante litteram?
«La Casa delle donne è una finzione del romanzo e il marito, in punto di morte, la incoraggia a usare i risparmi della famiglia per realizzare questo sogno. Il marito si era inizialmente opposto al concorso alle Poste, poi cambia e diventa il suo primo sostenitore. Nella vita reale la mia bisnonna ha sempre aiutato le donne insegnando loro ad esempio a leggere o a liberarsi da situazioni familiari di violenza. Una femminista? Sicuramente è stata una rivoluzionaria. Amiamole le donne come lei, ne abbiamo bisogno».
Anna legge molto: la sente più vicina a Madame Bovary o a Catherine di Cime Tempestose?
«Forse a nessuna delle due. Sono eroine dell’Ottocento che cercano nell’amore per un uomo il completamento di se stesse. Ad Anna questo non può bastare, non può essere totalizzante e in questo, forse, c’è la sua modernità di donna libera: lei vuole realizzarsi anche nel lavoro e nel suo rapporto con la comunità. Mette i pantaloni e addirittura si fa orgogliosamente stampare un bigliettino da visita con la scritta “portalettere” che ho ritrovato in un cassettino e da cui è partita la riscoperta di questa storia. Quando dal Museo della Stampa di Lecce con sede a Merine, frazione di Lizzanello, mi hanno invitato per regalarmi la matrice originale di quel carattere tipografico usato nel bigliettino è stata una grande gioia».
È felicemente sposata, ma il romanzo svela un’affinità elettiva con il cognato. Si possono amare due persone?
«Il suo è un matrimonio basato sull’amore pur tra alti e bassi, ma il cognato è la sua anima gemella: s’incontrano negli occhi e si riconoscono per sempre. Sì, possono esistere due amori».
L’intrigo sentimentale familiare è un fattore del successo del romanzo?
«Non so è un intrigo, ma è un tormento in cui molti lettori si sono riconosciuti. Non lo avrei immaginato così diffuso».
Cosa?
«In questi mesi ho parlato con tanti e in tanti mi hanno scritto: le ragazze per chiedermi come si diventa scrittrici famose e gli ammalati dagli ospedali con il libro sul comodino. Ma soprattutto mi hanno scritto tante persone che vivono un amore contrastato come quello del cognato di Anna in cui bisogna soffocare le passioni per tutelare l’integrità della famiglia e che rappresenta un tasto dolente molto più diffuso di quanto si immagini. Soprattutto uomini che mi chiedevano un consiglio su come comportarsi. Anche così si è alimentato il passaparola, spesso sottotraccia».
“La portalettere” ha viaggiato molto sui social: è il nuovo terreno di diffusione dei libri?
«Sono molto attiva su Facebook e Instagram e ho sempre cercato di rispondere a quelli che mi scrivono. Ma alla fine conta la storia, senza quella non vai da nessuna parte. Mi fa piacere il successo, ma non mi metto su un piedistallo a giudicare gli altri».
Quanto ci ha messo di suo?
«Qualcosa del mio carattere, ma non ci sono autobiografie nascoste nei personaggi. Molte ambientazioni del Sud le ho ricostruite dai ricordi d’infanzia».
Lei cosa cambierebbe di questo Sud?
«Tante cose e niente nello stesso tempo. Molti progressi sono stati fatti, altre conquiste vanno raggiunte. Ma vorrei soprattutto che ne venisse tutelata l’identità: prima veniva qualcuno solo in agosto, ora è la meta turistica più ambita tutto l’anno. Non voglio che me lo rovinino».
Il romanzo diventerà una fiction: quando la vedremo?
«Siamo in attesa che la Lotus Production firmi l’accordo con una delle piattaforme in corsa: Disney+, Netflix o altre, la decisione è in arrivo. Sarò co-sceneggiatrice della serie».
 

Andrea Camilleri per Montalbano o la stessa Stefania Auci per la saga dei Florio hanno scelto di stare fuori dalle sceneggiature. Lo ha chiesto lei?
«Sì, ho studiato la materia al Centro sperimentale di cinematografia. Ma soprattutto voglio che mi trattino bene Anna, voglio starle vicino anche nell’avventura televisiva». 
Si è pacificata con lo stress da notorietà inevitabile per un’esordiente?
«Solo da pochi mesi, all’inizio è stato difficile. Ho studiato comunicazione e avevo lavorato sempre nel settore, ma ero terrorizzata dal dover parlare in pubblico. Mi dicevano che era solo questione di abitudine e avevano ragione».
Il suo pubblico la aspetta per la seconda opera: è pronta?
«La storia ce l’avevo in testa, sono riuscita a scriverla durante questo pazzo anno in giro per l’Italia. Resta poco da definire, deciderà la mia casa editrice Nord. È top secret, ma non sarà un sequel». 
Qualcuno pensava a uno spin-off, magari incentrato su un personaggio “laterale” come, ad esempio, la nipote andata a vivere in America e che rispunta alla fine del libro. Un’altra ribelle...
«No, sulla “Portalettere” ho detto tutto quello che c’era da dire. Un’altra donna protagonista? A Quotidiano, perché è qui che ho cominciato da studentessa universitaria a scrivere i miei primi articoli, posso rivelare che il nuovo romanzo avrà ancora al centro il Sud e la Puglia. Non vedo l’ora che esca».
Ma lei, dopo aver studiato e lavorato in molte città italiane, perché è tornata al Sud?
«Semplicemente per nostalgia. Per il senso di comunità. Perché qui, pur con tutti i difetti, se hai bisogno di qualcosa, anche della più stupida, c’è sempre qualcuno disposto ad aiutarti. Ho preso casa a Milano per un periodo e farò la spola con il Salento. Ma, come Anna, so che da qui non andrò più via». 
 

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