Canfora a Libex in Festival: «La libertà d’espressione è una storica illusione»

Canfora a Libex in Festival: «La libertà d’espressione è una storica illusione»
di Daniela UVA
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Venerdì 24 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:24

«Non siamo in un momento particolarmente felice nella storia della comunicazione, ma non è così diverso dagli altri». Secondo il professore emerito dell’università di Bari, Luciano Canfora, la libertà di stampa non è in discussione solo oggi, ma lo è sempre. «Ci sono momenti più aspri e momenti nei quali è esplicito il limite imposto», dice. Ma c'è anche una quotidianità nella quale esiste una regola: «Per far vivere un giornale o una radio c'è un limite oggettivo: ci vogliono i soldi». Che limitano la libertà. E poi ci sono «la pressione psicologica, l'intimidazione, il potere, non solo quello costituito, che può reagire».

Ecco perché questo diritto, sancito anche dall'articolo 21 della Costituzione, è sempre in discussione. L'occasione per tornare a discuterne è stata la prima giornata di Libex in Festival, in corso a Bari e dedicato alla libertà di stampa ma anche alla satira. Su questo Canfora evidenzia che “a volte la satira deborda, ma se leggiamo la commedia ateniese del Quinto secolo il carattere di insulto personale graffiante è talmente forte che quelle di oggi sembrano carezze. Resta il fatto che il cattivo gusto deve essere il limite». Il filologo ha parlato di libertà partendo proprio da quell'epoca così lontana, dedicando la sua lezione al teatro greco e all'uso politico che se ne è fatto, per «consentire a tutti di esprimere le proprie opinioni, anche a chi non partecipava alle assemblee popolari».

Le parole


Canfora ha ricordato che l'arte raccoglieva più persone delle assemblee e permetteva di attaccare gli uomini politici del tempo, perfino “Pericle, il leader più importante di Atene”, diventando un fatto politico e religioso perché l'attività teatrale era inerente alla vita della città. 
«Quanta gente andava a teatro? - si è chiesto – Tantissima. Ci andavano più persone di quelle che partecipavano alle assemblee popolari della cosiddetta democrazia diretta, che poi in realtà non lo era perché era aperta a una minoranza». 
Ma il festival è stato anche l'occasione, a margine dell'evento, per discutere di temi più contemporanei. Come l'atteggiamento della stampa rispetto al potere. «Quando c'era il governo Draghi tutta la stampa, tranne pochissimi casi, era sdraiata ai suoi piedi – evidenzia -. Sembrava un Padre eterno. Un quotidiano importante scrisse che il busto di Cavour nei corridoi di Montecitorio si inchinava al passaggio di Draghi. Un servilismo di questo genere è un punto di non ritorno».
Ecco perché per il filologo «prendersela con la stampa oggi, pronta a fare un'ampia apertura di credito al governo attuale e alla premier in particolare, è buffo perché occorrerebbe invece fare auto critica per quello che è stato fatto fino a un anno fa». C'è poi il modo “deplorevole” con il quale spesso vengono trattati i casi di cronaca. «C'è un elemento morboso – dice -. Ho sempre pensato che il concetto di censura fosse antipatico, ma censura in latino vuol dire giudizio.

Quindi in sé non è un crimine. Quando avvengono fatti delittuosi perché i mezzi di informazione devono descrivere in modo dettagliato ogni aspetto? È pura morbosità, che può suscitare in menti fragili la spinta all'imitazione». 

Il dibattito


Per Canfora è, dunque, «sciocco e pericolosissimo questo modo di fare legato all'idea che più si dà spazio a questi dettagli e più copie del giornale si vendono». Ma in questi giorni c'è anche un altro dibattito aperto, che fa tornare alla ribalta il concetto di patriarcato. E che a Canfora fa porre una domanda: «Ci sono lati di patriarcato visibili nell'attuale compagine governativa? A me non parrebbe tanto diversa da altre compagini governative – è la risposta -. La questione è trasversale e riguarda anche forze politiche che si auto proclamano progressiste e poi hanno comportamenti piuttosto difformi». La polemica in corso è, dunque, «un fuoco di paglia. È un po' ridicola e lunare. E poi l'aggettivo patriarcale per alcuni è un'offesa e per altri no. A questo punto credo si potrebbe parlare d'altro». Con una consapevolezza, però: «Il suffragio alle donne è stato concesso solo nel Ventesimo secolo, questo significa qualcosa».

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