​Pedane, divieti e auto: a Bari piste ciclabili negate. Il viaggio

Pedane, divieti e auto: a Bari piste ciclabili negate. Il viaggio
di Beppe STALLONE
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Giovedì 23 Giugno 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10:54

Pancali pieni di merci che occupano buona parte della pista ciclabile, cartelli di divieto di sosta per carico e scarico, monopattini abbandonati nel bel mezzo della corsia. Sono alcuni scatti realizzati da un noto “ciclista barese” che, pur avendo incarichi istituzionali preferisce definirsi così, Lello Sforza. Uno dei pionieri della diffusione dell’uso della due ruote a Bari. Le immagini postate sul suo profilo social, riportano in primo piano la questione delle piste ciclabili light, su cui si divide da tempo l’opinione pubblica barese.

Poco sicure per alcuni in quanto indicate solo da strisce bianche sull’asfalto, fastidiose per altri in quanto paralizzerebbero il traffico automobilistico.

Dopo quelle di corso Vittorio Emanuele, da qualche tempo ce ne sono anche sul lungomare Nazario Sauro e Di Crollalanza e presto saranno realizzate altre piste ciclabili in via Quintino Sella e via De Rossi.

Il racconto del ciclista

«Qui si mettono dei cartelli di divieto di sosta su una pista ciclabile quando in teoria è impensabile che si possa sostare su una pista ciclabile, a Copenaghen – sottolinea Lello Sforza – quando ci sono lavori in corso, vengono posti dei segnali gialli che modificano il percorso indicando ai ciclisti da che parte andare. Ma la questione a monte è che da noi l’automobile è utilizzata da tutti anche per le brevi distanze e i Comuni, non solo quello di Bari, non fanno nulla per spostare la mobilità dall’uso dell’auto, in particolare nei tragitti brevi, verso altre modalità di trasporto».

Come dire che il problema non è tanto quello delle piste ciclabili ma dalle quantità di auto che circola. Lello Sforza nei suoi viaggi istituzionali, l’ultimo in Germania e Olanda, ha avuto modo di visitare alcuni casi di successo di infrastrutture ciclabili. A Kleve per esempio ha visto strade ciclabili in promiscuo con priorità delle bici sulle auto, a Utrecht la più grande velostazione al mondo. «All’estero – riprende Lello Sforza - non solo le auto sono minori, sia in circolazione che in sosta, rispetto a quelle che ci sono in Italia, ma c’è una offerta di trasporto alternativa. A Lipsia, in Germania, dove l’anno prossimo si terrà la conferenza internazionale sulla mobilità ciclistica, i giovani non hanno proprio la macchina, perché l’offerta di servizi di mobilità, bike sharing, car-sharing, mezzi pubblici, consente di muoversi liberamente senza essere schiavo dell’auto, né proprietario dell’auto. Da noi è difficile trovare persone che pensano che farsi 500 metri a piedi sia normale, in più i mezzi di trasporto sono quelli che sono, l’intermodalità pure, quindi ci troviamo in questa situazione».

Le diverse criticità

Altra criticità è data dalla velocità delle auto, che possono provocare incidenti e coinvolgere ciclisti. «Oltre a ridurre il carico di traffico stradale – continua Lello Sforza – si deve ridurre la velocità delle auto. Se ci fosse il limite di 30 orari in tutta la città, non solo annunciato ma reale, con interventi di controllo e infrastrutturali per cui le auto devono davvero andare piano, allora si ridurrebbe la possibilità di incidente. In Europa ci sono le reti tranviarie, da noi non esistono. In Austria e Germania, ci sono reti tranviarie che passano di frequente e consentono a tutti di non avere l’auto». Le piste light insomma secondo il noto ciclista barese non sono la soluzione al problema di fondo che è quello della mobilità. «Possono servire a far capire che c’è un’attenzione ma se poi dinanzi al bar Riviera sul lungomare in ogni momento ci sono 10 auto parcheggiate a che servono le piste ciclabili?». Allora se le piste light sono palliativo di facciata cosa occorre per affrontare sistematicamente il problema mobilità a Bari? «Occorre organizzare una multi-mobilità. Per esempio la figura del mobility manager. Cioè dotare ogni azienda privata ed ente pubblico di una figura che deve organizzare gli spostamenti casa-lavoro. In questo modo si ottimizzerebbero gli spostamenti di tutti quelli che lavorano negli uffici, formando prima le persone»

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