Sembrava la giornata più tranquilla, quella di ieri, tra Shama e Naqoura, in quella fetta di Libano su cui sventolano le bandiere delle Nazioni Unite. I soldati della missione Unifil avevano trascorso una notte serena, persino più silenziosa del solito, e per molte ore si erano concessi il lusso, sì di questi tempi sembra un lusso, di non restare chiusi dentro ai bunker. Ma il pomeriggio ha riservato ai caschi blu la più brutta sorpresa dell’ultima settimana. In una striscia di terra in cui anche l’Italia lavora da molti anni per seminare qualche bulbo di pace sta scoppiando in queste ore un altro rischiosissimo fronte di guerra. E mentre l’incubo di una pesantissima escalation agita le cancellerie internazionali, il riflesso reale dei timori c’è stato subito sul campo: qui, dove le esplosioni si sono fatte in un attimo più forti e più pericolose del solito.
L’ATTACCO
I razzi sono finiti all’interno di una delle basi in cui operano i soldati italiani, i 1.100 che guidano il Sector West e che si alternano in una serie di attività che hanno garantito una convivenza più pacifica su questo versante di Medio Oriente. Al confine tra Israele e Libano il botta e risposta a suon di razzi si ripete già da giorni, ma finora non si era andati oltre le provocazioni. E ora che si sono trovati nella rotta del fuoco, i soldati italiani cominciano a valutare un piano di smobilitazione, magari con l’iniziale riduzione della presenza nelle basi più avanzate, le due che si trovano sul filo della terra contesa, su quello spartiacque caldissimo che nei giorni scorsi è stato più volte assediato da migliaia di persone. «Quello che ha colpito la base italiana non era un missile lanciato intenzionalmente ma la situazione rimane grave - dice il ministro della Difesa Guido Crosetto - Qualora ci fossero pericoli, come quelli che ieri hanno determinato la scelta di far rientrare in Italia i carabinieri della missione addestrativa di stanza a Gerico, verrà fatta la stessa cosa. Se i nostri contingenti fossero in pericolo, la scelta ovviamente sarebbe scontata e cioè il rientro immediato in Italia».
LA PIOGGIA DI FUOCO
Lo scambio di messaggi di fuoco aveva coinvolto per giorni la parte più a est della “Blue line”, quella dove sono schierati attualmente i caschi blu del Ghana. Di domenica invece i missili sono volati sopra la testa degli italiani e uno ha centrato in pieno il compound di Naqoura, il quartier generale delle pattuglie che operano in prima linea e che dista solo una decina di chilometri da Shama, dove invece si trova la base più grande e dove ha sede anche il comando di Sector West. In quel momento, quasi all’ora del tramonto, non era arrivato uno specifico messaggio di allerta e infatti non c’erano militari dentro i bunker.
Ma per fortuna nessuno è rimasto ferito.
IL QUADRO
Dei 120 chilometri di Blue line, dove i due Stati si sono impegnati a rispettare il divieto di andare oltre, ma dove la realtà non sempre rispecchia gli accordi, una sessantina rientrano nella fascia di competenza del Sector West. L’Onu l’ha affidato alla guida dei militari italiani, ma qui si concentra il lavoro di 17 nazioni. Da qualche mese in prima linea ci sono gli uomini dei “Granatieri di Sardegna”, supportati da militari e mezzi di molti altri reparti. E infatti il tricolore sulla divisa tra le strade del Libano lo indossano circa 1300 soldati. I blindatissimi Lince vanno avanti e indietro di giorno e di notte, evitando scontri diretti tra i due fronti, raccogliendo informazioni utili anche alle forze armate libanesi e organizzando pattugliamenti congiunti con i militari delle Lebanese armed forces.
IL GENERALE
Ma ora la situazione è cambiata. E in Libano da Roma è già arrivato un generale a cui il ministero della Difesa ha affidato un compito specifico: valutare le condizioni di sicurezza e stabilire se ai nostri uomini sia ancora possibile operare sotto la pioggia di missili. Il generale Giuseppe Faraglia, ex comandante del Col Moschin, è uno che situazioni più o meno simili ne ha già viste diverse, sia durante lo sgombero degli italiani da Khartun ad aprile, sia per aver coordinato il rientro in patria del contingente italiano dell’Afghanistan. Ieri, primo giorno di lavoro in Libano, ha assistito alla giornata più critica. L’ordine, dunque, potrebbe essere imminente.