Responsabilità, è questa la prima medicina

Responsabilità, è questa la prima medicina
di Renato MORO
4 Minuti di Lettura
Martedì 10 Marzo 2020, 14:31 - Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 03:04
Responsabilità. La prima medicina, fuori dagli ospedali e dalle tende del triage, è questa. È ciò che richiede una situazione così difficile, impensabile fino a qualche giorno fa nonostante le immagini e le notizie - drammatiche - che giungevano dalla Cina. È il momento di un’assunzione di responsabilità, nella consapevolezza che deve essere una scelta collettiva.
Ora più che mai dividerci in bravi e meno bravi, maturi e immaturi, non serve a nulla. O tutti, o nessuno. La buona volontà e la responsabilità di alcuni potrebbero essere vanificate dall’anarchia degli altri e allora ogni sforzo, ogni sacrificio sarebbe inutile.
Ci vuole responsabilità. La consapevolezza che la salute di tutti è nelle mani di ognuno di noi e che ogni singola scelta deve essere fatta non solo per il “nostro” bene, ma per quello degli “altri”. Da stamane, dunque, l’Italia è un’unica grande “zona rossa”: da Milano a Palermo tutti dovranno limitare i loro spostamenti, non sarà più consentito percorrere il Paese da Nord a Sud e viceversa. Bisognerà chiudersi in casa, per quanto possibile, e non ci si potrà ritrovare in gruppo all’aperto, nei locali pubblici e anche in privato. Prova difficile? Certo. Ma ora è giusto che si faccia così. In Cina la “zona rossa” ha riguardato 64 milioni di abitanti. Noi siamo poco più di 60 milioni. La Cina sta superando la fase più critica; l’Italia, dicono gli scienziati, si appresta ad affrontarla.
Responsabilità, dunque. Quella che fino a ieri è mancata in molti. Nonostante gli appelli e i bollettini che davano il numero dei contagi in pericolosa ascesa, infatti, la gente ha continuato a uscire da casa. Troppo e in troppi. Domenica pomeriggio nel centro di Lecce il traffico era lo stesso dei giorni di shopping. I cinema erano chiusi, ma per il resto sembrava una giornata normale: bar e altri locali affollati, gruppi di ragazzi e ragazze in giro nelle vie della movida, in piazza e sui marciapiedi. «Ragazzi, non è una vacanza», ha detto qualcuno. È proprio così.
E non è - anzi, non era - una vacanza nemmeno per le famiglie. Ieri sera, pochi minuti dopo le 20 e quando a Roma già di pensava al nuovo decreto, i parcheggi di alcuni supermercati erano stracolmi di auto. In piu, tra le auto in sosta, adulti e bambini col carrello pieno. Come fosse un prefestivo qualsiasi. Come se non ci fosse un’emergenza in atto. Come se non ci fossero decreti, ordinanze e appelli. Come se il buonsenso si fosse perduto nel buco nero dell’incoscienza.
Ora è il momento di assumersi la responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Cosa, quest’ultima, a cui non siamo più abituati da tempo immemore. Ma questo virus ci sta cambiando la vita, sta modificando le nostre abitudini e “gli altri” devono tornare ad essere al centro del nostro pensiero. Il problema principale, è stato spiegato a chiare lettere, è che una diffusione del contagio fuori da ogni controllo potrebbe dare il colpo di grazia alla Sanità. Nelle prossime due settimane, secondo le stime della Regione, potremmo avere il picco e contare almeno duemila casi in Puglia. Perché l’emergenza non sfoci nel caos bisogna poter disporre di posti letto nelle terapie intensive. Ma i posti sono pochi, 209 in tutta la Puglia, e va scongiurato, in tutti i modi, l’effetto imbuto. Se gli ospedali si riempiranno di malati, se le terapie intensive non riusciranno ad accogliere tutti coloro che avranno bisogno della respirazione assistita, sarà un dramma. Soprattutto per le persone anziane. Non sono ipotesi allarmistiche, sono considerazioni che i medici già fanno.
Ricominciare a pensare agli “altri” vuol dire anche, in questa fase, assumersi la responsabilità nei confronti di chi - per motivi anagrafici o perché affetto da altre patologie - rischia di vedere il suo futuro o la sua stessa vita in pericolo. C’è chi in questi giorni ha addirittura tirato in ballo il diritto costituzionale a potersi liberamente muovere in tutto il Paese. Sciocchezza. Se può servire a svegliare il nostro senso di responsabilità, ricordiamoci che le persone più a rischio sono quelle che tra mille sacrifici hanno salvato questo Paese, gli hanno dato il benessere e le infrastrutture che ora vorremmo utilizzare a tutti i costi, stupidamente, per muoverci. Proviamo a ringraziarli, ancora una volta, proprio ora.
Ci vuole responsabilità. La consapevolezza che la salute di tutti è nelle mani di ognuno di noi e che ogni singola scelta deve essere fatta non solo per il “nostro” bene, ma per quello degli “altri”. Christian Salaroli, primario anestesista dell’ospedale di Bergamo, è stato fin troppo chiaro in una breve intervista rilasciata al Corriere dalle stanze di una delle Rianimazioni in prima linea: «Non ci sono posti per tutti. Si decide per età e per condizioni di salute. Come in tutte le situazioni di guerra».
Come in guerra, dunque. Fa uno strano effetto ascoltare e leggere questa parola pronunciata dai medici. Però è così. Siamo in guerra contro un nemico subdolo, quasi invisibile e soprattutto ancora in gran parte sconosciuto. La scienza troverà il vaccino, prima o poi. Nel frattempo medici e infermieri (a proposito, quando tutto sarà finito ricordiamoci del loro impegno al limite dell’umana sopportazione) lottano come leoni. Noi lottiamo con l’unica medicina che in queste ore possiamo condividere. La responsabilità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA