Il filosofo Maurizio Ferraris: «Il web è il notaio dell'umanità. E la rende più sapiens»

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di Francesco Musolino
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Mercoledì 14 Luglio 2021, 12:59 - Ultimo aggiornamento: 16 Luglio, 09:04

Il web è il più grande apparato di registrazione che l’umanità abbia sinora sviluppato, e questo spiega l’importanza dei cambiamenti che ha prodotto». Parola di Maurizio Ferraris, uno dei più influenti filosofi contemporanei. Docente di Filosofia teoretica nell’Università di Torino, presiede il Labont (Laboratorio di Ontologia) e dirige l’istituto di studi avanzati Scienza Nuova - che unisce l’Università e il Politecnico di Torino - progettando un futuro sostenibile, tanto culturalmente che politicamente. Saggista affermato – nato a Torino, classe ’56 - è tornato in libreria con “Documanità. Filosofia del mondo nuovo” (Laterza, pp.440 €24) battendosi per superare l’Homo Faber, consegnandoci una nuova visione del web, necessaria per una nuova umanità. In una platea affollata di pensatori distopici, Maurizio Ferraris spicca con idee positive, partendo dalla rilettura del rapporto con i computer e la tecnica. Senza nessun timore della Singolarità, evocata da Hollywood.

Ferraris, dai primi calcolatori elettronici sino ai computer quantistici, lo scenario è mutato. Non solo a livello tecnologico, oggi cosa chiediamo alla tecnologia, all’intelligenza artificiale?

«La registrazione fedele, e per questo raramente lusinghiera, di quello che siamo e di quello che vogliamo, per fini di automazione, distribuzione, organizzazione. L’intelligenza artificiale non è un cervellone diabolico, è l’impassibile notaio dei nostri interessi e desideri, della nostra intelligenza e della nostra stupidità. Ma, visto che oltre che impassibile è anche paziente e infaticabile, l’intelligenza artificiale riesce a trasformare in risorsa, cioè a capitalizzare, ciò che, per mancanza di documenti, di tempo e di energia, andrebbe disperso. Chi si metterebbe al capezzale dell’umanità misurandone i bioritmi? Ma se questa umanità si munisce di smartwatch, produce valore (perché i bioritmi sono utili) anche dormendo».

Anche da un punto di vista ontologico, che tipo di rapporto vede profilarsi fra i computer e l’umanità, nel prossimo futuro?

«Un gigantesco calcolatore isolato non avrebbe cambiato di una virgola il nostro modo di vita, e il web è solo in minima parte una infosfera (pensarla diversamente è confondere il web con Wikipedia). È molto di più, molto diverso. È una docusfera, un oceano di documenti che solo in minima parte diventano informazione; documenti che a loro volta registrano gli atti, la nostra interazione con il mondo che è sempre più interazione con il web. Se mettiamo a fuoco questo punto, ci accorgiamo che l’infosfera dipende dalla docusfera, ma che quest’ultima dipende da noi, dalla biosfera, perché i documenti li produciamo noi interagendo con una rete che, diversamente dall’aria o dall’acqua, interessa solo a noi».

Ma l’età della tecnica è iniziata quando Prometeo ha rubato il fuoco per donarlo agli uomini? La tecnica ci aliena o ci rivela?

«Anche prima, nel momento in cui un ominide ha raccolto un bastone e ha scheggiato una pietra. È in quel momento che è nato l’animale umano, distinguendo il proprio destino dagli animali non umani. Ecco perché la tecnica ci rivela».

Perché parla di “rivoluzione documediale”?

«Perché in questa rivoluzione la trasformazione non è data dall’accelerazione di processi produttivi derivanti dallo sfruttamento della forza lavoro umana, bensì dalla automazione di processi produttivi resa possibile dallo sfruttamento del consumo e della mobilitazione umane che, registrate sul web, si trasformano in intelligenza artificiale».

Il 90% di tutti i documenti archiviati è stato prodotto nell’ultimo biennio. I nostri timori per la privacy sono mal riposti?

«Quanti dati produciamo ogni volta che facciamo una ricerca sul Web? Rispetto a questi dati i nostri timori sulla privacy, più che mal riposti sono esagerati, giacché le piattaforme, in Occidente, sono interessate ai nostri soldi, non alle nostre idee o alla nostra vita individuale. E più che esagerati sono mal orientati, perché preoccuparsi della privacy nasconde problemi, e soprattutto opportunità, molto maggiori».

Ovvero?

«Temiamo che Alexa ci spii, ma non ci rendiamo conto che lavoriamo gratis per Alexa e per le sue simili, generando una ricchezza senza equivalenti, e che potrebbe, qualora se ne riconoscesse l’origine, essere restituita generando un nuovo welfare».

Lei prospetta la fine dell’homo faber. E poi, cosa ce ne faremo del tempo libero?

«Consumeremo, il che non significa mangiare cibi sbagliati a ore sbagliate, ma anche leggere, educarsi, godere dei piaceri dello spirito, ossia avvicinarci sempre di più all’homo sapiens, che non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo».

La Singolarità, il sorpasso dell’intelligenza artificiale sull’umanità, è solo uno scenario da film distopico?

«Sì. Avere intelligenza non è solo calcolare, è anche avere delle ragioni per farlo, e queste ragioni derivano dal fatto di avere un corpo, sottoposto al bisogno, all’urgenza, alla mortalità: tutte cose che l’intelligenza artificiale non possiede».

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