La piattaforma logistica da 219 milioni ancora inutilizzata

La piattaforma logistica da 219 milioni ancora inutilizzata
di Domenico PALMIOTTI
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Giovedì 14 Settembre 2023, 05:00

L’Autorità portuale del Mar Ionio sta valutando se arriva qualche nuova domanda per la piattaforma logistica, oppure se occorre lanciare un avviso pubblico per riproporre al mercato l’infrastruttura che si estende su 132mila metri quadrati

Lo stallo

È questa la conclusione dopo che l’Authority ha revocato l’affidamento alla società Progetto Internazionale 39. Era stato infatti scelto il loro progetto, ma erano state date, dice l’Authority, “prescrizioni in termini di capitale sociale e, ancora di più, in termini di presenza di soci con i necessari requisiti. Nella relazione, Progetto Internazionale 39 aveva assicurato che quest’ultima era solo una società di scopo, che avrebbero mutato struttura societaria, e che ci sarebbero stati investitori italiani. Il tempo è trascorso, non lo hanno fatto, non hanno adempiuto a quanto si erano impegnati a fare e quindi abbiamo respinto e archiviato la pratica”. L’Authority, per il momento, vuole vedere se da Progetto Internazionale 39 arriverà eventualmente un ricorso entro i 60 giorni dalla determina di chiusura. I 60 giorni scadono nella prima parte di ottobre. “Non hanno motivi validi per ricorrere, ma tutto potrebbe accadere” si osserva. 

L'investimento

Nel frattempo, però, ci sono primi contatti con altri potenziali investitori. Se dovessero concretizzarsi, l’iter di riassegnazione della piattaforma logistica potrebbe essere più veloce a differenza dell’avviso pubblico. Si esclude che la piattaforma vada ora a Vestas con un ripescaggio. La società danese delle pale eoliche - presente a Taranto con un proprio stabilimento - dopo la candidatura di Progetto Internazionale 39 si era proposta per attività di stoccaggio in previsione della costruzione della pala più grande del mondo, la V236. Vestas è stata scartata mesi fa, l’attività proposta non è stata ritenuta confacente alle finalità della piattaforma, e quindi non sarà la nuova fruitrice della piattaforma, anche perché nel frattempo la società avrebbe cercato altre aree nel porto. E ne avrebbe individuata una tra i 60mila e gli 80mila metri quadrati. Il tramonto di Progetto Internazionale 39 costituisce una seconda battuta d’arresto per la piattaforma logistica. Inaugurata a dicembre 2015 dall’allora ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, la piattaforma, mai entrata in attività, fa parte di un pacchetto di infrastrutture, tutte costruite, che comprende altre quattro opere: ampliamento del quarto sporgente; darsena ad ovest del quarto sporgente; adeguamento e potenziamento della strada dei moli; vasca di colmata per la raccolta dei sedimenti dei fondali del quarto sporgente e della darsena servizi. Nel complesso, si è trattato di un investimento di circa 219 milioni di euro, in gran parte pubblici, con all’interno una quota di circa 40 milioni privati. E proprio la piattaforma aveva visto l’apporto privato con la società Taranto Logistica. A novembre scorso però, non essendoci più i presupposti per proseguire, l’Authority ha consensualmente risolto il rapporto con questa società, accordandosi su un piano rateale di indennizzo: circa 40 milioni. 
Progetto Internazionale 39 è comparsa il 12 settembre di un anno fa mentre l’assegnazione della piattaforma è avvenuta a marzo scorso. Servizio alle merci, è quello che proponeva la società. Che ha fatto discutere per il capitale sociale (10mila euro), per i suoi trascorsi e, soprattutto, per la presenza di cinesi al proprio interno.

Insieme a Ferretti, nel cui azionariato ci sono cinesi, si è visto in questo uno sbarco del Paese del Dragone nel porto di Taranto. Quasi l’inizio di un monopolio. Il tema è emerso ieri con un breve passaggio nel convegno sui porti e sulla blue economy. Osserva uno studioso di portualità come Alessandro Panaro di SRM: «Non vedo perchè si gridi allo scandalo per i cinesi quando questi sono nei porti di Rotterdam, Barcellona, Pireo e Israele. È assurdo demonizzare a priori la presenza cinese. Il metro di valutazione non dev’essere la provenienza dell’investitore, ma il suo piano di investimenti, se è credibile o meno, la sua capacità di fare e creare lavoro. Lo si può fare controllando, mettendo regole. Evitando, per esempio, che i cinesi portino in trasferta la loro manodopera e facendo come gli egiziani che hanno stabilito una contromisura: l’assunzione d’una quota di egiziani». 

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