Ex Ilva: danno sanitario, no di Acciaierie d'Italia al ministero della Salute

Risposta negativa dell'ex Ilva al Ministero della Salute. Erano stati già respinti dal Governo gli emendamenti che richiedevanoViias

Ex Ilva: danno sanitario, no di Acciaierie d'Italia al ministero della Salute
di Domenico PALMIOTTI
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Sabato 8 Aprile 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:28

“Non sussistono i presupposti per la presentazione di una valutazione di impatto sanitario in quanto si tratta di un adempimento che non è previsto dalla legge”. È il passaggio chiave della lettera di poco meno di una pagina e mezza che Acciaierie d’Italia, ex Ilva, ha spedito al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase), e segnatamente alla direzione generale delle valutazioni ambientali, Dipartimento sviluppo sostenibile, all’Osservatorio permanente per il monitoraggio dell’attuazione del piano ambientale dell’Ilva e ai commissari di Ilva in amministrazione straordinaria, la società proprietaria degli impianti dati in affitto ad Acciaierie d’Italia.

La lettera

Firmata dal direttore Salvatore Del Vecchio, la lettera dice chiaramente che AdI non è disponibile ad effettuare la valutazione sanitaria, chiamata a stabilire su base preventiva se un determinato quantitativo di produzione di acciaio è compatibile o meno con la tutela della salute pubblica. 

La richiesta di valutazione sanitaria non è affatto nuova. L’hanno espressa ripetutamente nel tempo le istituzioni, dal Comune di Taranto alla Regione Puglia, i sindacati, il mondo ambientalista, e tuttavia la risposta dell’azienda è sempre stata negativa. Adesso c’è un’ulteriore conferma. Nella discussione in Senato che ha preceduto il varo del decreto legge sugli impianti strategici, quello che ha ripristinato lo scudo penale per l’ex Ilva e sbloccato l’arrivo all’azienda di 680 milioni da parte di Invitalia, azionista pubblico di minoranza di AdI, questa valutazione, anzi di valutazione integrata ambientale e sanitaria, è stata chiesta attraverso emendamenti presentati da Pd, M5S e FdI. In particolare, i senatori di Fratelli d’Italia Nocco, Zullo, Amidei, Ancorotti, Fallucchi e Maffoni hanno chiesto al Governo di “valutare l’opportunità di richiedere, nell’ambito dell’impianto riconducibile al plesso di Taranto, l’effettuazione delle opportune verifiche di ottemperanza delle normative di tutela ambientale e sanitaria secondo la procedura di Valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (Viias)”.

I senatori FdI hanno osservato che la “Valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario è uno strumento di sostenibilità ambientale volto ad integrare le componenti salute e ambiente, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile” e “il procedimento è attualmente codificato dall’Ispra”. 

La Viias

Nel caldeggiare la Viias, i senatori di FdI hanno sostenuto che “la contemperazione equilibrata fra i vari bisogni deve essere attuata, le frizioni tra i soggetti preposti alla tutela dei diversi interessi non sono state risolte ed è ben prevedibile che la conversione in legge del decreto aprirà la stura a numerosi ricorsi amministrativi e sovranazionali, col risultato di ritornare in una condizione di stallo dalla quale ci si proponeva di uscire”. Ma tutte le richieste sul tema, così come gli emendamenti al decreto legge, sono stati respinti dal Governo che ha blindato il testo del provvedimento. Che alla fine è divenuto legge così come il Consiglio dei ministri l’aveva approvato a fine 2022.
Ora l’ultimo no di Acciaierie d’Italia arriva a valle della recente riunione dell’Osservatorio Ilva.

Il Ministero della Salute reputa la valutazione necessaria e chiede che sia inserita nella nuova Autorizzazione integrata ambientale che l’ex Ilva ha chiesto, visto che l’attuale scade ad agosto prossimo. Solo che per procedere, il ministero della Salute avrebbe bisogno della collaborazione dell’azienda che però non viene data. Al momento si sarebbe quindi creato uno stallo tra ministeri dell’Ambiente, che sarebbe dell’avviso della non obbligatorietà della valutazione sanitaria, e della Salute, che invece la ritiene necessaria, per cui si attende che le direzioni competenti si chiariscano sul che fare. Per Acciaierie d’Italia, l’articolo 23 del decreto legislativo numero 125 del 2006 “prevede che la valutazione di impatto sanitario (Vis) debba essere trasmessa unitamente alla documentazione necessaria alla valutazione di impatto ambientale (Via) soltanto in relazione ad alcune tipologie di progetti. Che sono - rammenta AdI - le raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), greggio), gli impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate al giorno di carbone o di scisti bituminosi, i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto, le centrali termiche e gli altri impianti di combustione con potenza termica superiore a 300 MW”. “Il legislatore - scrive AdI al Mase - ha comunque espressamente valutato il tema sanitario rispetto allo stabilimento, dettando una disciplina speciale che non contempla l’attivazione della procedura di Vis in assenza dei presupposti”. 

Il caso, per alcuni aspetti, richiama quanto emerso giorni fa in Regione, in commissione Ambiente, per le emissioni di benzene dell’acciaieria. Che, secondo Arpa Puglia, in base alla norma italiana sono nei limiti. Ma le emissioni di benzene, dice Arpa Puglia, sono tuttavia in crescita e c’è la necessità, a questo punto, di rivedere la norma stessa, seguendo magari l’esempio di altri Paesi. Anche perché, ha rilevato Vincenzo Campanaro, direttore scientifico di Arpa Puglia, il decreto legislativo che regolamenta la materia, numero 155 del 2010, fissa per il benzene “un limite calcolato come media annuale nella misura di 5 microgrammi a metro cubo. Questo significa che gli eventi acuti che vengono a ripetersi in determinate posizioni come quelle del siderurgico e dell’area industriale di Taranto, non trovano una adeguata collocazione nel riscontro normativo”.
Ma anche sulla richiesta di nuova Aia presentata da Acciaierie d’Italia le cose non vanno bene. Il ministero dell’Ambiente, ricevuta la documentazione dall’azienda, l’ha ritenuta non conforme, affermando che non si può far partire alcuna istruttoria. Ha quindi invitato AdI a riformulare la documentazione dando 30 giorni di tempo che scadono a metà mese.

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