Commissioni comunali, chieste condanne per oltre 26 anni

Commissioni comunali, chieste condanne per oltre 26 anni
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Sabato 6 Febbraio 2016, 10:17 - Ultimo aggiornamento: 10:24
Chieste condanne per cinque nel processo celebrato dai giudici del Tribunale di Taranto sui compensi elargiti all’interno del Comune di Taranto nei primi anni del Duemila, quando nell’ente la cassaforte era considerata “a disposizione”, così come scaturito da numerose sentenze. Il processo di riferimento è quello che aveva disposto a suo tempo il giudice del tribunale dottoressa Vilma Gilli, in accoglimento della richiesta del pm dottoressa Ida Perrone. Il pubblico ministero, nel caso specifico, aveva definito l’inchiesta sulla presunta appropriazione di circa 270mila euro, nel periodo compreso fra il 2003 e il 2005 che non sarebbero ancora “coperti” dalla prescrizione. Si tratta di denaro che sarebbe stato elargito per compensi liquidati alle commissioni comunali, di cui i cinque imputati facevano parte a vario titolo.

A carico degli stessi - cioè di Sante Barracato di 69 anni, Gaetano Calò di 71, Antonio Liscio di 61, Luigi Casimiro Lubelli di 70 e Marcello Vuozzo di 65 - il processo è celebrato per il reato di peculato. Ieri, al termine della sua requisitoria, l’accusa pubblica ha invocato sentenza di condanna, formulando le richieste di pena. Cinque anni di reclusione sono stati chiesti a carico degli architetti Liscio e Vuozzo. Sei anni di reclusione ciascuno sono stati invocati a carico di Calò e di Lubelli, mentre nei confronti di Barracato è stata chiesta la condanna a quattro anni e mezzo.

Condanne di tutti gli imputati sono state invocate dalla parte civile: l’avvocato Tani Sorge per il Comune di Taranto. A suo tempo, come si ricorderà, la dottoressa Vilma Gilli aveva ritenuto prescritto il reato di associazione per delinquere, pure contestato dall’accusa pubblica. Secondo la tesi sostenuta dalla procura della Repubblica, i cinque alti dirigenti dell’Ente comunale di Taranto, in servizio oppure ormai in pensione, fra il 2003 e il 2005 avrebbero liquidato a se stessi, oppure agli altri, i compensi per la partecipazione alle varie commissioni che erano insediate nell’Ente. In questa maniera, però, secondo l’accusa che si era tradotta nelle incriminazioni, avrebbero taciuto di essere destinatari di remunerazioni per incarichi aggiuntivi.

Le conclusioni a cui era pervenuta l’accusa pubblica costituiscono il risultato dell’attività investigativa, ma anche delle ispezioni che erano state disposte a suo tempo dal ministero. Come evidenziato in altre circostanze, secondo la tesi sostenuta dalla dottoressa Perrone, all’epoca i cinque dirigenti avrebbero “incrociato” le funzioni, in uno scambio di nomine a presidenti o a componenti delle varie commissioni, col risultato finale di liquidare i compensi per la partecipazione alle commissioni, insediate per finalità varie. Le commissioni sarebbero state insediate per l’affidamento degli appalti, per il reperimento di beni e di servizi del personale in base a concorso pubblico.
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