Case deprezzate dall'inquinamento Ilva: primi risarcimenti a Taranto

Le case con alle spalle il siderurgico
Le case con alle spalle il siderurgico
di Domenico PALMIOTTI
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Mercoledì 27 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 28 Dicembre, 09:08

Hanno atteso 18 anni per vedere parzialmente riconosciuto il deprezzamento delle loro case nel rione Tamburi a causa dell’inquinamento emesso dall’Ilva di Taranto e ora, sotto Natale, si sono sbloccati i primi risarcimenti.

Chi sono i beneficiari

Per circa 240 famiglie che vivono a ridosso della fabbrica siderurgica, sono infatti arrivati gli indennizzi che variano da un minimo di 5mila euro ad un massimo di 30mila, somma limite erogabile. I bonifici sono stati emessi da Ilva in amministrazione straordinaria su fondi del ministero delle Imprese, ex Mise.

Ministero che ha disciplinato con un decreto modalità e criteri relativi alla compilazione delle domande da parte degli interessati e all’erogazione delle somme. «La vicenda è stata indubbiamente tribolata - spiega a Quotidiano l’avvocato Massimo Moretti che ha assistito legalmente i risarciti -. Negli anni ‘90 come Legambiente seguivamo già le costituzioni delle parti civili nei processi penali ai Riva, poi, nel 2005, è stato compiuto il primo passo in sede civile con l’uscita della prima sentenza definitiva relativa al getto pericoloso di cose. Questo ha consentito la possibilità di intraprendere le azioni risarcitorie in sede civilistica. Da allora, quindi, abbiamo cominciato il contenzioso. Prima le cause si potevano fare a Taranto, e qui abbiamo fatto una lunga battaglia culminata nel 2014 in una prima sentenza positiva.

Dopodiché, alcuni mesi dopo, parliamo di gennaio 2015, l’Ilva è andata in amministrazione straordinaria. E prima che scattasse l’amministrazione straordinaria, c’è stato un condominio dei Tamburi, l’unico, che riuscì a farsi pagare attraverso una causa che intrapresi nel 2006 e che giunse a definizione nel 2014. Questo condominio ottenne i risarcimenti quando l’Ilva era ancora in bonis. Poi, con l’amministrazione straordinaria e la dichiarazione d’insolvenza, tutto è andato al Tribunale di Milano. Le cause in corso si sono interrotte per ricominciare a Milano».

La procedura

Non furono molte le cause che subirono lo stop a causa del trasferimento del giudizio da Taranto a Milano perché allora si erano attivati solo qualche decina di cittadini. Poi i ricorsi hanno preso piede e il decreto emesso sta dando ai possessori di immobili ai Tamburi, rovinati e degradati da polveri e fumi del siderurgico, di avere i risarcimenti. A condizione che abbiano una sentenza definitiva e l’ammissione del credito nello stato passivo dell’amministrazione straordinaria Ilva. Non c’è alcuna differenza in relazione al fatto che le case siano più o meno distanti dal siderurgico. Il calcolo delle somme è stabilito da una serie di criteri, frutto di una serie di udienze al Tribunale di Milano, criteri che hanno poi dato luogo ad un accordo transattivo tra procedura di Ilva in as e creditori ricorrenti. La procedura di Ilva ha gestito le cause ed erogato i risarcimenti, mentre le risorse, come detto, vengono dal ministero delle Imprese. Perché chi aveva diritto ai risarcimenti, difficilmente li avrebbe ottenuti direttamente da Ilva in as. Quest’ultima, infatti, allo stato non ha soldi e per pagare i creditori, che sono tanti, deve prima vendere gli impianti. Inoltre, alla luce di quanto si sta profilando ultimamente - con Acciaierie d’Italia che punta ad ottenere una riduzione del prezzo di acquisto degli asset aziendali -, da escludere che possano uscire risorse per i proprietari degli immobili ai Tamburi, visto che i loro crediti non hanno privilegio, né prededuzione.

Il fondo ad hoc

E allora è nata l’idea (se ne fece portavoce l’onorevole Ubaldo Pagano del Pd) di chiedere l’istituzione di un fondo ad hoc. Considerato che lo Stato aveva deciso che Ilva doveva andare in amministrazione straordinaria e che del miliardo fatto rientrare dai Riva dall’estero in Italia, su azione della Procura di Milano, tutto era andato alle bonifiche nello stabilimento e nulla ai cittadini in attesa di essere risarciti. Con la legge di Bilancio del 2022, sono stati quindi messi a disposizione 2,5 milioni. In realtà, inizialmente erano 7,5 milioni divisi tra 2021 e 2022, ma la quota del 2021, pari a 5 milioni, è andata persa perché non sono state fatte le disposizioni attuative e così è rimasta solo la quota residua.

A luglio 2022, nel question time alla Camera, il ministro Giancarlo Giorgetti, allora a capo dello Sviluppo economico, dichiarò che Mise aveva ultimato la predisposizione dello schema di decreto ed era stato trasmesso al Mef “per le verifiche inerenti gli aspetti finanziari e per il concerto previsto dalla norma”. I tempi sembravano imminenti. Invece sono stati necessari altri sette mesi per mettere un punto fermo. Infatti si è arrivati a febbraio scorso per vedere pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” il decreto sugli indennizzi del ministero delle Imprese ed è scattato un tour de force da parte degli interessati. Da maggio scorso, avendo luglio come scadenza, ci si è infatti mossi per avere i provvedimenti del Tribunale e avanzare le istanze. Intanto con un emendamento alla legge di Bilancio per il 2023, sono state previste ulteriori risorse: 3,5 milioni di euro per il 2023, 4,5 per il 2024 e 4,5 per il 2025. Le istanze per il 2024 sono in fase di predisposizione. Quando arriveranno i provvedimenti del Tribunale, le istanze del 2024 andranno al ministero, da presentarsi entro il 31 luglio se le regole restano quelle dell’anno scorso. Nel frattempo, è cresciuto il numero di cittadini dei Tamburi che si sono fatti avanti. Ma se le richieste dovessero superare le somme stanziate, si andrà alla riduzione percentuale dei risarcimenti.

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