La scomparsa di Paolo Rossi/ Franco Selvaggi: «Ritornai con lui in Brasile e il taxista non lo fece salire»

La scomparsa di Paolo Rossi/ Franco Selvaggi: «Ritornai con lui in Brasile e il taxista non lo fece salire»
di Antonio IMPERIALE
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Venerdì 11 Dicembre 2020, 12:18 - Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 07:46

«Sono costernato e ancora incredulo. Come si può fare a meno del nostro Paolo? Ce lo siamo chiesti in tanti quando all'alba si è diffusa la notizia, e fra noi che eravamo in Spagna, che lo abbiamo avuto compagno straordinario in quell'avventura da favola, che lo abbiamo conosciuto nella quotidianità delle vicende dei campionati, è sceso lo sgomento». Franco Selvaggi da Matera, spadino da calciatore, ha conosciuto Paolo Rossi da avversario nei derby della Mole, lui con la maglia granata del Torino, Pablito con la maglia bianconera della Juventus. Ha vissuto con lui la straordinaria, magica avventura del Mondiale dell'82. Ha conosciuto il calciatore e l'uomo.
Selvaggi, come arrivò Paolo Rossi a quel mondiale ?
«Per un atto di stima e di fiducia di Bearzot. Rossi aveva fatto già molto bene nel Mondiale del 78. Ma qui si portava sulle spalle la squalifica assolutamente immeritata per la vicenda scommesse. Una mazzata. Era stato fermo per due anni, doveva recuperare ritmo e condizione. Partì un po' in sordina nelle prime due partite, esplose fragorosamente nelle ultime tre».
Fu il goleador decisivo nel Mondiale spagnolo.
«Il valore del grande campione trascinò presto la squadra. Aveva tutto. Un grande opportunismo, tanta fantasia, arrivava sulla palla senza che l'avversario capisse da dove era sbucato, aveva gambe e piedi magici, si muoveva con una rapidità bruciante del centometrista».
Quali gol segnarono la svolta?
«Certamente la tripletta sul Brasile che ai brasiliani ancora brucia, poi i due gol alla Polonia di Boniek, e naturalmente il gol dell'1-0 sulla Germania che sbloccò la partita. Questo fu anche il più bello, per quello che rappresentava. Sbucò all'improvviso da un grappolo di giocatori. Ci chiedevamo chi avesse segnato: vuoi vedere che è stato Paolo?».
E fuori dal campo, com'era?
«Stavamo a Vigo, c'erano gli attentati dell'Eta, non si poteva uscire facilmente. Eravamo in camera, gruppi di 7-8-9, giocavamo a carte. Ingannavamo il tempo parlando. Paolo era uno di quelli ai quali non potevi non voler bene. Ragazzo molto intelligente, il sorriso sulle labbra, non diceva mai di no. È rimasto sempre se stesso, anche dopo i trionfi con Bearzot, le strette di mano del presidente Pertini. Il Rossi post-mondiale era l'italiano più ricercato dai politici, dalle star, ambito da tutti. Ha saputo sempre restare il primo Pablito».
Se ne sono andati a distanza di pochi giorni, Maradona e Rossi. Cosa avevano in comune, cosa di diverso?
«Rossi, sul piano del gioco, è stato il Maradona di quel Mondiale. Credo che abbiano avuto qualcosa in comune nei rapporti con i compagni, sempre disponibili verso tutti, pronti a dare una mano. Poi magari Maradona può aver avuto una vita diversa fuori dal calcio. Forse abbiamo visto due Maradona. Rossi è stato sempre se stesso. Anzi l'eccesso di popolarità lo metteva in difficoltà. Pablito è rimasto sempre il ragazzo della porta accanto».
Siete stati vicini di casa a Torino.
«Ci incontravamo, qualche sera, dopo il ritiro, si andava a cena. Una volta a casa sua mi mostrò imbarazzato le lettere che gli giungevano da tutto il mondo. Moltissime dal Madagascar. Non voleva che il ruolo gli creasse pressione».
Tornaste in Brasile per il Mundialito.
«Sì. E ci accadde a San Paolo di fermare un taxi. L'autista scrutò bene Paolo e lo apostrofò: Hai fatto piangere il Brasile al Mondiale, qui non c'è posto per te. Paolo replicò deciso: ma io ho fatto sorridere la mia Italia. E sono sempre più felice».
I rapporti dopo il Mondiale?
«La discrezione sempre. Noi del gruppo mundial abbiamo creato un gruppo Whatsapp. Non ci ha mai comunicato i suoi problemi di salute. È stato sempre estremamente riservato. Un anno fa l'ho invitato a Maratea per un festival del Cinema. Cercava di parcheggiare, ed un ragazzo lo ha chiamato per nome: Paolo Rossi. Lui ha sorriso, e ha firmato autografi poi per tre giorni».

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