La scomparsa di Paolo Rossi/ I compagni del goleador, Brio e Causio: «Esempio per i giovani»

Sergio Brio e Franco Causio
Sergio Brio e Franco Causio
di Antonio IMPERIALE
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Venerdì 11 Dicembre 2020, 12:15 - Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 07:46

Forse, chissà, il dio Eupalla li ha visti giocare insieme, ieri, lassù nel cielo. Si sono rincorsi, Maradona partendo dal centrocampo, lui, Paolo che si muoveva con la sua stupefacente naturalezza, nell'area di rigore. Quasi un assist sulla via dell'eternità (per quelli che ci credono). Quindici giorni di distanza, Maradona, 60 anni, che muore da solo nella sua Argentina, nella casa di Tigre, Paolo Rossi che sbalordisce tutti andandosene per sempre, a 64 anni nell'Ospedale Le Scotte di Siena, con il conforto familiare, per un male oscuro che aveva tenuto nascosto agli amici.
Nel Duomo di Vicenza, la città che il 18 febbraio lo aveva voluto cittadino onorario in ricordo delle straordinarie gesta sportive con lo storico Lanerossi, i funerali, nella mattinata di domani. Era stata la moglie, Federica Cappelletti, a postare la notizia nel cuore della notte. Il saluto: Mai nessuno come te, unico, speciale, dopo di te il niente assoluto, il suo post. «Erano da poco passate le due, lo squillo del telefono, la notizia che mai avresti voluto sentire: Paolo se n'è andato per sempre. Ti dici che no, non è vero. Che è assurdo, che è impossibile. Mi chiama la Rai, mi ritrovo subito in studio, quello di Raiuno, a parlare dell'amico perduto, del bomber che ci ha regalato i mondiali dell'82, che ha fatto esultare con l'orgoglio italico il presidente Pertini, impazzire di gioia l'Italia intera»: Sergio Brio fa fatica a rispondere alle innumerevoli chiamate. «E te lo rivedi Paolo Rossi, piccolo, normale nel fisico eppure così grande, più grande di tutti, in quei mondiali di capace di lasciare il segno più grande nella storia. Il suo post-calcio era il ruolo di opinionista, commentatore sportivo, riusciva così a non staccarsi dal suo mondo, e confermava di essere sempre se stesso, per garbo, per intelligenza, per competenza ed umiltà».

Brio racconta: «Lo conobbi nella Primavera della Juventus, abitavamo tutti nell'appartamento di via San Quintino 4/b, c'erano con noi anche Marocchino, Gasperini, Verza, Pillon.

Poi io andai a crescere nella Pistoiese, lui nel Como, ci ritrovammo a Torino all'inizio degli anni Ottanta. Eravamo cresciuti. Trovare spazio in casa della Vecchia Signora, della Juventus, era un motivo di orgoglio condiviso, che ci legava. Lui aveva iniziato da ala destra veloce, poi divenne un centravanti unico nel suo genere, grazie alla tecnica, all'intelligenza, alla capacità di leggere il calcio. Vincemmo quello che c'era da vincere, Coppa Italia, Coppa delle Coppe, due scudetti, Supercoppa Europea, la Coppa dei Campioni a Bruxelles. E Paolo era sempre determinante. Ed era un esempio di giovane che credeva nella vita e nell'amicizia. Dopo il Mondiale vivevamo a Torino, veniva a trovarmi. Lui aveva anche casa a Marina di Massa e io a Forte dei Marmi. Quando andavamo in ritiro passavo a prenderlo, percorsi bellissimi in macchina, confidenze, riflessioni, progetti sul domani per il calcio, per la vita. Non riesco davvero a capacitarmi. Mi mancherà, sono sconvolto. Lascia un messaggio al calcio, ai giovani».

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Il Barone Franco Causio fa una maledetta fatica a parlare. Ha condiviso ben due mondiali, oltre che gli anni nella Juventus. «Pablito? Un calciatore semplicemente strepitoso, immenso. Il Pallone d'oro nell'82 fu una consacrazione al suo valore, alla sua caratterizzazione particolare, tutta personale di uomo-gol». Non si rassegna, il grande brazil leccese, che si porta nell'animo di giorni della gloria sua e dei compagni di un'epoca che si allunga nella memoria. Ho perso veramente un grande fratello - dice -, un amico vero». Non riesce a soffermarsi sui dettagli dei trionfi costruiti insieme con la maglia della Juventus, con quella della Nazionale. Ripensa agli uomini di unica vita insieme, quelli dei giorni di gloria, a ciò che gli hanno lasciato, in particolare due grandi che hanno segnato il suo tempo sul binario bianconero, su quello azzurro. «Il mio amico, il mio fratello Paolo adesso incontrerà lassù il grande vecio Enzo Bearzot, e il nostro Gaetano, Gaetano Scirea. Il calcio avrebbe sempre bisogno di uomini come Pablito».
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