Nuova generazione di dribblatori in Serie A. Da Causio e Maiellaro ad Almqvist: «Ma questo è un altro calcio»

Venerdì 3 Novembre 2023, 12:54 - Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 21:52 | 3 Minuti di Lettura

Lecce e Bari: che storia

E pensare che la storia del Lecce è costellata di grandi calciatori con quella capacità, quasi ipnotica, di tenere la palla incollata al piede e dribblare. Da Checco Moriero, lanciato da Carletto Mazzone e finito poi anche a Inter e Roma (che intesa con Ronaldo, il fenomeno), e Beto Barbas (controllo della palla di un altro pianeta) a Filippo Falco, che nel 2019/20 fu tra i migliori 15 della Serie A, per poi perdersi tra la Serbia e la B italiana. E ancora, Tanino Vasari, solo 12 presenze nel 2001 ma decisivo per la salvezza nella partita contro la Lazio. Il Lecce di Zeman, 4-3-3 come marchio di fabbrica (potrebbe essere altrimenti?) giocava con le punte larghe, ma a modo proprio anche Vucinic può essere considerato un dribblatore de facto. E Di Michele, una quindicina d’anni fa. «Il dribbling è tornato di moda - ammette l’attaccante di Guidonia -, c’è bisogno in questo calcio di gente che superi l’uomo. Penso a Kvara, a Politano, a Raspadori. E poi vedo tanti giovani in rapida crescita». Anche lui, simbolo del Lecce che si salvò a Bari nel derby, vede però un calcio diverso: «Ci sono aspetti positivi e negativi nell’evoluzione del gioco - dice -. Forse in questa Serie A c’è meno cazzimma e questo non mi piace. Però i dribblatori ci sono. Parlavo di Kvara, ci farà vedere cose ancora più belle, perché è un calciatore eccezionale».
Da Lecce a Bari, ed è impossibile non pensare a Italo Florio. Esordì con la Fiorentina, poi scese di categoria in Puglia. E quando le sirene delle big tornarono a suonare disse di no. «Che andavo a fare in serie A? A scontrarmi col calcio olandese? Avrei dovuto impormi con allenatori che non sarebbero stati disposti a darmi libertà in campo. E pure fuori dal campo dove la vita mi piaceva prenderla con comodo», raccontò qualche anno dopo. Al Della Vittoria c’era sempre uno striscione: “Florio drogaci”. Sarà l’effetto del dribbling.
Il Bari di Conte (2008/09, promozione in A) giocava con il 4-2-4. Guberti mattatore, come tornare indietro di vent’anni. E ancora: Perrotta, prima di andare alla Roma. E Gautieri, prim’ancora. Pietro Maiellaro sulle spalle aveva più spesso il 10, ma dribblava. Eccome. «Il calcio attuale? Ci sono tanti calciatori bravi nel saltare l’uomo ma solo a livelli altissimi, nelle squadre normali si è persa un po’ di qualità. Si gioca meno con i duelli individuali e questo ha cambiato il calcio. Quelli bravi, però, vengono fuori sempre». Anche nel calcio del tiki taka, che con Guardiola ha sublimato il concetto del possesso anche in senso estetico, il sogno di ogni calciatore resta quello di saltare tutti e andare a fare gol. Chissà che direbbe oggi Pasolini.

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