Si erano trasferiti a Roma dall’Umbria giovani giovani, appena sposati, e ci sono rimasti per tutta la vita. Una coppia sorridente e affiatata, che è stata divisa negli ultimi giorni solo dal maledetto Coronavirus. E di Covid, Rufino Riganelli, 88 anni, e Lina Moscatelli, 77 anni, sono morti entrambi, a due settimane di distanza l’uno dall’altra. «Per farli ricoverare abbiamo dovuto combattere - racconta il figlio Carlo Riganelli, 55 anni - il primo ad ammalarsi è stato papà, se ne è andato in pochi giorni. E mamma, che lo accudiva, si è contagiata. Non le hanno nemmeno fatto un tampone. La cosa più assurda è che la Asl ci ha telefonato per sapere come stava quando era già morta».
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Rufino, autista dell’Atac in pensione e grande pasticcere, ma solo per gli amici, è stato il primo a contagiarsi. «Era pieno di vita, aveva appena rinnovato la patente, ma quel virus l’ha colpito in modo feroce - continua il figlio Carlo - A fine marzo ha cominciato ad avere la febbre». All’inizio il medico di famiglia pensava fosse un’infiammazione, ma visto che la situazione non accennava a migliorare ha deciso di chiedere il ricovero in ospedale. Il signor Rufino è arrivato al Vannini il 2 aprile. Lì gli hanno fatto il tampone: positivo. L’11 aprile è morto. «E pensare che per farlo ricoverare abbiamo dovuto pure insistere e arrabbiarci - ricorda ancora il figlio - Quando è venuta l’ambulanza a prenderlo gli avevamo appena dato una tachipirina, quindi la febbre era scesa sotto i 37 gradi. L’operatore sanitario mi ha quasi insultato, ha cominciato a dire che se non aveva almeno 37,5 non potevano prenderlo in carico. Quando abbiamo insistito e ha dovuto indossare la tuta anti-contagio si è lamentato accusandoci di fare sprecare soldi alla sanità pubblica e di stare togliendo un mezzo di soccorso a chi era davvero malato».
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Ora Carlo Riganelli ha deciso di denunciare tutto quanto in procura, «non tanto per quello che è successo a mio padre, ma perché mia madre è stata praticamente abbandonata a se stessa». L’esposto è stato depositato nei giorni scorsi a Bergamo, perché Riganelli fa parte del “Comitato Noi Denunceremo”, al quale hanno aderito i familiari di centinaia di vittime del virus, non solo al Nord, ma in tutta l’Italia. Se l’inchiesta sul decesso dei coniugi Riganelli proseguirà verrà sicuramente trasferita alla procura capitolina per competenza, visto che i fatti sono tutti romani.
Ma la cosa più assurda doveva ancora succedere: il 28 maggio, un mese esatto dopo la morte della signora Lina, i suoi figli hanno ricevuto una telefonata dalla Asl: «Hanno chiesto informazioni su nostra madre, volevano sapere come stava, se aveva ancora la febbre e i sintomi del Coronavirus, forse si trattava di una verifica statistica - racconta Riganelli - quando abbiamo fatto presente che mamma era morta ci hanno risposto: “Ci dispiace, la pratica è arrivata solo adesso nel nostro ufficio”. A loro risultava che mia madre fosse ancora in quarantena». La Asl Roma 2 per il momento ha deciso di non replicare, in attesa delle eventuali decisioni della Procura.
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